L’Ulisse, pubblicato a Parigi nel 1922, è senz’altro l’opera più nota di James Joyce, nonché una delle più discusse del ventesimo secolo.
Il romanzo è ambientato nella città di Dublino e racconta le attività quotidiane nell’arco di una giornata di tre protagonisti: Leopold Bloom, la moglie Molly Bloom e Stephen Dedalus.
La divisione in diciotto episodi, così come il titolo stesso, segue l’Odissea omerica, al punto che i personaggi rappresentano Ulisse (Leopold), Telemaco (Stephen) e Penelope (Molly).
Ciò che più di tutto caratterizza il romanzo è l’innovazione stilistica che Joyce introduce con l’impiego delle tecniche del monologo interiore e del flusso di coscienza (stream of consciousness), apprezzabile soprattutto nel diciottesimo episodio, intitolato Penelope, dove si trova il celebre monologo di Molly Bloom.
Riportando uno ad uno i pensieri che assalgono senza sosta la mente di Molly, Joyce costruisce un soliloquio di oltre quaranta pagine in cui la donna riflette sui propri amanti, su di sé e sugli altri protagonisti. Malgrado la mancanza di segni di punteggiatura, si distinguono otto enormi periodi che svelano la vera natura della donna che per tutto il romanzo è raccontata prevalentemente dalle figure maschili.
Il personaggio di Molly pare essere stato costruito da Joyce ispirandosi alla moglie Nora Barnacle, ipotesi rafforzata dal fatto che il giorno in cui si svolge la vicenda del romanzo è il 16 giugno 1904, data del primo incontro tra i due.
Molly è la moglie infedele di Leopold Bloom, ha un carattere impulsivo e inizialmente insicuro, che compie una vera e propria metamorfosi nel corso della narrazione. Seguendo il parallelismo con l’Odissea, viene paragonata a Penelope, sebbene vi siano svariate differenze tra le due donne.
Molly, infatti, non incarna il prototipo di donna fedele e, oltre ad avere una relazione extraconiugale, è decisamente moderna, energica e passionale, una figura femminile dominante che non coincide con il ruolo di sottomissione che riveste Penelope nell’Odissea, dato che a Molly spetta addirittura il compito di chiudere l’intera opera. Affidandole questo incarico, Joyce vuole riprodurre il cambiamento del ruolo della donna nella società che stava avvenendo negli anni della pubblicazione. Questo potrebbe essere attribuito alla permanenza di James Joyce a Parigi, dove conobbe presumibilmente l’allora nascente movimento di emancipazione femminile delle Suffragette.
J. Joyce valorizza il personaggio di Molly anche costringendo il lettore ad attendere il capitolo finale per rivelare il punto di vista della donna e per sentire la sua versione in merito alla storia di tradimenti che lei e il marito hanno alle spalle. È quindi evidente quanto l’autore stesso avesse a cuore questo personaggio e volesse attribuirgli un valore particolare.
Molly inizia il suo monologo involontariamente, è notte fonda ed è distesa a letto probabilmente nella fase del dormiveglia. La stanza della donna sembra isolarla completamente dalla realtà esterna, contribuendo a lasciar fluire l’infinità dei suoi pensieri, presentati così come affiorano nella sua mente. L’autore non interviene mai a spiegarli per garantire il massimo dell’impersonalità e dell’oggettività. Alcuni episodi del passato si mescolano con il presente ed il futuro di Molly e questo determina, insieme all’assenza di punteggiatura e di un ordine logico, un grande disordine.
È un monologo molto caotico, che vuole essere specchio del caos interiore di Molly e allo stesso tempo sinonimo di rinascita. L’autore, infatti, sembra voler suggerire che in questo caos possa celarsi l’esistenza di nuove forme di espressione e di vita. Molly stessa, infatti, afferma il valore dell’esistenza contestualizzandolo nel suo futuro, al quale si riferisce con ripetuti «[…] yes I will Yes» con i quali dice sì al suo corpo, all’amore e alla vita.
L’essenza così indefinita ma infinita dei pensieri confusi di Molly la legano inevitabilmente all’idea che lo scrittore vuole attribuirle fin dalla genesi del personaggio, quella dell’infinito. Il simbolo del numero otto orizzontale comunemente utilizzato per rappresentare l’infinito matematico richiama la posizione fisica assunta da Molly durante il soliloquio, ma vi sono altri riferimenti a questo simbolo come la sua data di nascita (8 settembre 1870) e gli otto papaveri regalatole dal marito il giorno del compleanno.
Autodefinendosi con le sue stesse parole, Molly lascia emergere la realtà della sua persona iniziando ad acquisire consapevolezza di se stessa e delle sue relazioni, è l’incarnazione dell’essere donna, della femminilità intesa come forza creatrice e rigeneratrice che assume caratteristiche quasi divine.
In Penelope c’è un’apertura di James Joyce alla metafisica, al cui apice si trova l’infinito di cui Molly è simbolo, che corrisponde all’infinita varietà della natura femminile e al suo inestimabile valore.
Arianna Locatello