La riproduzione del corpo è, da sempre, al centro degli studi (e delle difficoltà) di tutti gli artisti: dai pittori agli scultori, fino ai fotografi, che di fronte alle mutevoli forme, proporzioni e atteggiamenti del corpo stesso si interrogano su quale sia il modo di rappresentarlo realmente, o almeno di esprimerlo liberamente. Ciò ha influito, e influisce tutt’ora, sui sistemi di rappresentazione, che rispecchiano a loro volta la cultura e lo stile presenti in un data epoca e società. La figura umana, espressa in modo realistico o idealizzato nel corso dei secoli, è arrivata con un certo privilegio alla nostra contemporaneità. Un onore il più delle volte combattuto e sofferto.
Intorno al 1970, poco prima dell’avvento del postmodernismo sfrenato, in un monolocale di Manhattan, Arno Rafael Minkkinen produce il suo primo autoritratto nudo. I risultati dei suoi lavori iniziali non vengono conosciuti fino a qualche anno più tardi, precisamente il 1973, nella sua prima mostra personale. Sono anni febbrili, gli stessi in cui si avvia il progetto sostanziale dell’artista, in cui sarà in grado di creare nei suoi scatti una natura corporale, esprimendosi con un nuovo linguaggio.
Il rapporto che lega l’individuo all’ambiente che lo circonda, naturale o artificiale che sia, è di primaria importanza in tutte le sue opere: la natura fa sempre da sfondo al quadro dell’ esistenza e in questo caso specifico si spinge oltre, fino a diventare arte e delineare il rischio in un corpo parlante.
«Art is risk made visible».
(L’arte è rischio reso visibile)
Arno Rafael Minkkinen
Nel suo progetto non c’è solo il corpo inserito in un ambiente naturale, e talora artificiale. Ci sono anche le sue origini e le sue esperienze; inoltre, più sottesi ancora, ci sono molti degli aspetti che movimentano e suscitano ancora questioni nel mondo dell’arte: argomenti come la presentazione del proprio corpo in pubblico, la costruzione della sua identità, la sua arte, e ancora, il nudo maschile.
I rischi intrapresi da Minkkinen nella sua carriera sfiorano la sfida: il fotografo, solo sporgendosi da un dirupo o rimanendo sott’acqua, solo spingendosi al limite, riesce a esprimersi e a rendere bene la propria immagine.
I suoi scatti intraprendono così un viaggio epico, un itinerario solitario di esplorazione spirituale dentro se stesso che arriva diretto per poi venire trasmesso, con naturalezza, agli spettatori.
Nell’introduzione ai suoi progetti si legge una limpida spiegazione del proprio operato. Agli occhi del lettore questo non risulta come uno scialbo insieme di consigli tecnici: piuttosto come un modo di avvicinare ancora di più lo spettatore al suo lavoro, contemporaneamente interno e rivolto verso l’esterno.
Minkkinen ripone tutta la fiducia nel proprio corpo e nella sua macchina fotografica, che completa il lavoro. Nei suoi scatti, quasi tutti autoritratti, non si serve mai di assistenti ma preferisce quei 9 secondi che separano dallo scatto, con tutte le difficoltà che questo comporta.
Sulla manipolazione digitale storce il naso: non contempla neanche la doppia esposizione in camera che è per lui troppo invasiva sulla realtà. È contento di essere nato dieci anni prima dell’avvento di Photoshop e di essere rimasto ancorato alla sua natura, senza distorsioni.
Fuori dalle limitazioni, nuove forme emergono – citando Georges Braque che traduce così: per collaborare all’invenzione di una nuova immagine bisogna abbracciare quella realtà, e collaborando con essa, inventarne una nuova possibile, non sovrapponendo per creare certe impressioni.
«What Happens Inside Your Mind, Can Happen Inside A Camera».
(Ciò che succede dentro la tua mente, può accadere in una fotocamera)
Arno Minkkinen
Da subito incline a privilegiare la bellezza formale, la instaura nei suoi bianchi e neri tra elementarità originale e corpo umano: diventano determinanti della sua stessa arte, mentre Minkkinen stesso diviene un vero e proprio esteta di questo stretto rapporto.
Cosa ci dicono quindi le sue immagini? Arno fotografa l’evoluzione del suo corpo, dei corpi di chi lo circonda, riuscendo in ogni fotografia ad entrare in una specie di gioco azzardato e magistralmente interpretato, grazie a corpi nudi monumentalizzati, come fossero un’opera di landart, l’arte nata proprio dalla relazione tra più elementi: carne e terra, pelle e acqua, ossa e alberi, tra i vari accoppiamenti possibili.
Il nostro corpo parla, a seconda del luogo e del tempo in cui è inserito; in base alla cultura e allo stile che lo circonda. In questo caso, attraverso le fotografie di Arno Minkkinen, parla grazie al connubio pieno di vita in cui l’artista è immerso e fortificato, grazie ad una mescolanza pazientemente studiata e maturata, per risultati sorprendenti agli occhi.
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