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«La mia ragazza è stata picchiata»

2 minuti di lettura

Riceviamo e pubblichiamo la toccante lettera di un nostro lettore:

La mia ragazza è stata picchiata. Niente sprangate, pugni, occhi neri o calci; qualche botta sulla spalla, spintoni accompagnati da insulti. Una manovra andata male con le classiche svolte-a-destra-dell’-ultimo-momento, e due biciclette che si sfiorano. Poi un uomo sulla quarantina che scende di sella, lascia la bici per terra, si avvicina alla ragazza, e giù di strattoni e colpi sul petto.

Chi scrive non ha assistito alla scena, ma l’ha vissuta da lontano, negli occhi pieni di lacrime della propria ragazza, appena picchiata. Be’, sapete come ci si sente? Ci si sente uno schifo, uno schifo ad essere uomo, a condividere un privilegio che esiste e forse più che altrove si scorge proprio qui… Niente retorica, niente commozioni inutili, lo schifo bello e crudo, quello profondo che sorprende da dentro: le bestie, neanche le bestie…

Ma è un sopruso ancora più grande quello che si sta facendo ora, lasciando che sia lo schifo di chi scrive ad emergere; ed è un sopruso ai sentimenti di paura, terrore, che la vittima deve aver provato e che, di nuovo, si trasformano in schifo, sebbene uno schifo ben peggiore di quello che prova chi sta scrivendo. È lo schifo delle vittime, che si accalca e addensa e ingloba per una manciata di secondi l’intera esistenza, rendendola, a sua volta, uno schifo. Perché poi le cose vanno a finire che “perché proprio a me?” con conseguente autorisposta “perché sono uno schifo”. Il che, ovviamente, è tutto fuorché vero, ma necessitato dall’evento della violenza. La violenza, ecco, la violenza azzera ogni linea apologetica, ogni frase che possa render conto di ciò che è successo; e a maggior ragione la violenza ingiustificata, che proprio perché ingiustificata, lascia senza parole, lascia che l’ultimo pensiero che riposi nella testa della vittima sia “perché sono uno schifo”.

Ora, si voglia per un attimo prendere in considerazione l’atto della violenza. Ci si dirà che vabbè in fondo un paio di botte non sono poi così male, poteva andare molto ma molto peggio, la ragazza poteva rimediare qualche osso spezzato o livido serio fra le costole. Eh no, cari amici/amiche, non funziona così; perché non è tanto l’atto in sé che va condannato, non è tanto lo spintone o il pugno (si fa per dire, ovviamente), quanto piuttosto il principio dell’atto, dello spintone e del pungo. Il problema sta prima di atto, spintone o pugno, il problema sta tutto nella genesi di un sentimento, quello della violenza, ingiustificabile ma, soprattutto, inspiegabile: da dove viene fuori questa cosa qui? da dove appare e come si palesa la volontà, il desiderio, di alzare le mani, e alzarle contro una donna.

Agli occhi di chi vi sta raccontando questa storia, tutto ciò rimane – e per davvero – profondamente oscuro; e forse la gravità del problema esige silenzio, un silenzio che però si faccia sentire, un silenzio che risuoni terribilmente, ovunque, e che spaventi, spaventi davvero, come è spaventato chi scrive, e di più ancora, chi la violenza ha subito. Che questo silenzio, che solo può parlare, sia la prima arma per rivoltare lo schifo e insediarlo nella coscienza dei violenti, loro sì immersi nel silenzio della solitudine; noi no, vivi in quello della fratellanza.

Le parole di Benedetto Croce furono chiare. Dicevano qualcosa di bello, e insieme giusto, che cioè: «La violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggitrice». La violenza sulle donne è una cosa bruttissima, che esiste, esiste per davvero; e di violenza così misera ce n’è poca. Ma le parole spese fin qui sono già troppe, l’indicibile non si può dire, si può solo sperare che lentamente, con fiducia, scompaia dal mondo, permettendoci di nuovo di credere in qualcosa di vero. Per ora è meglio tacere e, da uomo, a te donna che ora leggi – ti chiedo scusa.

 

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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