Provare e dubitare
Prova è una parola particolarmente ambigua: dà un’indicazione preparatoria, come il primo passo mosso nell’incertezza dell’inizio, quando la strada non è ancora completamente dipanata, ma spesso conferisce il suggello della conferma nel punto di arrivo dopo un lungo travaglio. Si può sostenere una prova d’esame per verificare finalmente la preparazione e l’impegno sostenuto ed essere qualificati, e si prova un abito o un paio di scarpe per capire se potranno essere indossati. L’avvio e la fine sono raccolti in questo vocabolo, che diviene così misura della distanza che intercorre tra inizio e fine, significando il percorso nella sua totalità.
La consapevolezza nel dubbio
La prova apre e chiude la parentesi della consapevolezza, dell’agire con ponderazione che non accelera ciecamente ma necessita di un tempo di tentativi per giungere alla buona riuscita ed è disposto a uno sguardo retrospettivo di messa in discussione. Per provare bisogna essere disposti ad accettare e accogliere il dubbio, come esercizio critico che lascia spazio alla cognizione del divenire, come procedere innanzi verso il miglioramento. Il varco temporale della prova è sempre replicabile e tuttavia non si ripete mai allo stesso modo, ogni prova successiva può modificare il giudizio precedente. Provare significa vivere nella consequenzialità del tempo non solo consequenziale, senza lasciarsi travolgere dal susseguirsi degli avvenimenti, trasformando la catena di prima-poi in cause ed effetti che si completano vicendevolmente.
Tentare il racconto
L’arte narrativa dispiega esemplarmente la necessità di comprensione dell’avvicendarsi della vita, che la prova può magistralmente esaudire, attraverso il tentativo del racconto. Il narratore è in grado osservare la storia dal fondo dell’imbuto, e allo stesso tempo può collocarsi come personaggio all’interno delle avventure raccontate. L’alternarsi dei punti di vista consente di provare una vicenda, mettendola in discussione per comprenderla pienamente, cosicché il racconto diventi rappresentazione, ovvero rielaborazione profonda, vissuta a pieno.
L’esempio della Prova
Tra le arti rappresentazionali, il teatro esemplifica la prova, sia a livello formale che contenutistico. Durante le prove della messa in scena l’attore tenta di rappresentare il proprio personaggio, così che lo spettacolo sia in grado di esprimere il testo drammaturgico e mettere alla prova l’intenzione dell’autore, verificare se questa possa essere corrisposta dallo spettatore. Il gioco dei punti di vista coinvolti nella rappresentazione teatrale consente di esprimere pienamente la varia complessità delle vicende, attraverso un racconto vissuto realmente nella finzione scenica, che si propone dunque come costruzione in atto tra palcoscenico e platea. La prova della rappresentazione diviene rappresentazione della prova, poiché ogni messa in scena si propone senza la monotonia della ripetizione, intrecciandosi alla particolarità in divenire conferita dagli attori e dalle rispettive immedesimazioni nei personaggi, come tentativi continui che non ridurranno mai la distanza necessaria al presentarsi del gioco dell’immaginazione.
Il Racconto della Prova
Così il Racconto per eccellenza della letteratura italiana viene messo alla prova attraverso la meraviglia e lo stupore che l’arte teatrale può pienamente donare: la magistrale regia di Andrée Ruth Shammah elabora lo spazio della rappresentazione provando I Promessi Sposi, regalando al pubblico sinceramente entusiasmato una nuova consapevolezza nella riscoperta dei fondamenti del Teatro.
Al teatro Franco Parenti, dal 20 marzo al 7 aprile, con I promessi sposi alla prova di Giovanni Testori la possibilità di rappresentazione è interrogata dall’interno, tentata con arguzia e ironia, per poi essere espressa con brillantezza memorabile.
Fingere la Prova, costruire il Racconto
La monumentale vicenda di Renzo e Lucia viene indagata attraverso il gioco immaginativo in scena, tra attori e personaggi nell’ingegnoso meccanismo meta-teatrale. La finzione della prova consente la costruzione profonda della vicenda.
Nel tentativo di immedesimazione guidato dalla direzione acuta e imponente di Luca Lazzareschi verso la realizzazione dello spettacolo, i personaggi vivono la molteplicità dei punti di vista nella distanza dal proprio personaggio. La vivacità promettente di Filippo Lai e Nina Pons dà corpo e voce all’intrigata trama dei Promessi Sposi, nell’avvicendarsi di azioni e emozioni, discusse ed espresse con profondità, senza la presunzione della definizione, piuttosto lasciando spazio al carattere personale. Laura Marione dona una nuova luce all’oscura vicenda della Monaca di Monza, e la maternità di Agnese si ammanta della semplice spontaneità di Laura Pasetti. Sebastiano Spada dà umanità corporea e spirituale al personaggio di Don Rodrigo, e la maestria camaleontica di Luca Lazzareschi si destreggia tra Egidio e don Abbondio, con Carlina Torta, che da Perpetua diviene dispensatrice di aiuti e consigli al direttore stesso.
Attori e personaggi si integrano vicendevolmente, nella realizzazione esemplare del Racconto, come monito e invito alla prova, nella consapevolezza di un esito che non dà termine, piuttosto come un’uscita che apre a un nuovo ingresso, permette la continuazione del discernimento e della comprensione attraverso l’immaginazione in atto.