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La malinconica e stravagante commedia umana di Noah Baumbach

Film con personaggi taglienti, frustrati, incapaci di imporsi nella società, simboli di una rivelata fragilità umana: ecco le caratteristiche dei film di Baumbach, un regista unico nel suo genere.

3 minuti di lettura

Figlio d’arte, il regista e sceneggiatore americano Noah Baumbach nasce a Brooklyn nel 1969. Suo padre, lo scrittore e critico cinematografico Jonathan Baumbach, e sua madre, la giornalista del Village Voice Georgia Brown, gli trasmettono la passione per il cinema e la letteratura. Ottiene già i primi riconoscimenti artistici mentre frequenta la Midwood High School, mentre nel corso degli studi al Vassar College di New York incontra l’attore Carlos Jacott, che diventerà una costante presenza nelle produzioni di Baumbach. Il suo primo film da regista e interprete, Kicking and Screaming (1995), viene accolto molto positivamente dalla critica. Nel 2004 instaura un importante rapporto di amicizia e di collaborazione con il regista Wes Anderson (noto al grande pubblico per aver diretto, recentemente, Grand Budapest Hotel), nella sceneggiatura di Le avventure acquatiche di Steve Zissou, interpretato dall’ironico Bill Murray, insieme a Cate Blanchett e Owen Wilson, e del film d’animazione Fantastic Mr. Fox, ispirato dall’omonimo romanzo di Roal Dahl. Guadagna una nomination all’Oscar per la miglior sceneggiatura originale nel 2005 con Il Calamaro e la Balena, un disincantato ritratto delle difficoltà di una famiglia durante il divorzio. Il suo ultimo film uscito è While We’re young, storia della stravagante amicizia che nasce tra due coppie di newyorchesi divise da un profonda differenza di età, che determina due diverse visioni del mondo.

noah baumbach

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Il cinema indipendente di Noah Baumbach

Lontano dalla produzione cinematografica prettamente commerciale, Noah Baumbach, ambasciatore del cinema indipendente, si fa narratore spontaneo e malinconico di una moderna commedia umana, ambientata nella realtà quotidiana della vita americana. Una vita rappresentata nella sua normalità, senza effetti speciali che ne alterino l’essenza. Il suo sguardo si allontana dal superficiale stereotipo della «favola della Fifth Avenue», per concentrarsi sulle dinamiche più intimistiche delle complesse relazioni all’interno del nucleo famigliare, seguendo il solco tracciato prima di lui da grandi maestri del cinema quali Eric Rohmer e Ingmar Bergman, suoi modelli e fonte di ispirazione. I racconti di Baumbach tendono spesso e volentieri a intrecciarsi a importanti elementi della vita e della formazione dello stesso regista. In Il calamaro e la Balena, la sensibile storia del divorzio dei genitori dei giovani fratelli Walt e Franck Berkman, ambientata in una Brooklyn degli anni ’80, riflette l’amara adolescenza di Noah Baumbach. Attraverso questo moderno film di formazione, vicino al mito del Giovane Holden di Jerome David Salinger, il regista rivive il motivo topico letterario della crescita e della precocità, attraverso una tragicomica visione del passaggio dall’infanzia all’età adulta.

Il regista Noah Baumbach insieme a Wes Anderson
Il regista Noah Baumbach insieme a Wes Anderson

Le difficoltà dei personaggi nei film di Baumbach

Ciò che caratterizza la sua produzione è la volontà di raccontare la realtà che lo circonda e in cui è vissuto senza pretesa alcuna di farsi accattivante trascinatore del grande schermo. I suoi personaggi taglienti, sfaccettati, spesso frustrati e incapaci di imporsi nella società, non sono destinati a diventare i nuovi eroi del nostro tempo, ma sono i simboli di una rivelata fragilità umana. Nei film di Baumbach, nessuno appare immune ai dolori e alle difficoltà del relazionarsi con gli altri. É la caduta delle certezze, è l’emergere della propria umanità e di quella insicurezza in cui è facile riconoscersi e immedesimarsi. Di fronte all’artificiosità e alle rigide convenzioni di una società massificata, ecco rivelarsi timidamente quel senso di paura e di inadeguatezza che ci rende veramente umani. La quotidianità diventa il teatro della scoperta di se stessi e di una sconsolata esistenza. Con estrema sincerità, l’apparentemente disimpegnato film Il matrimonio di mia sorella (con Nicole Kidman) racconta la difficile relazione tra due sorelle ormai adulte, ma attanagliate da una conflittualità e da un condiviso fallimento famigliare mai realmente superato. La dimensione dell’interiorità risulta centrale nel semplice e schietto Lo stravagante mondo di Greenberg, con un cast curiosamente di soli “fratelli e figli d’arte” (dal figlio di Dustin Hoffman ai fratelli di James Franco e Gwyneth Paltrow), dove un ottimo Ben Stiller vive una personalissima ed esistenzialista ricerca di sé, immerso in una realtà straniata e aliena. In questi due film il regista può contare sull’apporto della allora moglie, l’attrice Jennifer Jason Leigh, che oltre a recitarvi contribuisce anche alla sceneggiatura.

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Film della settimana: «Frances Ha» di Noah Baumbach

Frances Ha racconta la vita spensierata e rocambolesca di Frances, interpretata da Greta Gerwig, ultima compagna del regista con la quale egli stabilisce, dopo il divorzio dalla moglie, un novello sodalizio artistico-sentimentale. La Gerwig, coautrice della sceneggiatura, interpreta una giovane e ingenua ragazza di New York, che sembra vivere una vita “così come viene”, cercando di conciliare i sogni e le ambizioni del mondo della danza con le difficoltà della quotidianità. E così inizia per la protagonista una goffa quête di ricerca di se stessa e di realizzazione personale nella continua tensione tra infanzia (ritorno e fuga negli affetti famigliari) e età adulta (la ricerca di una casa e di un lavoro). Tra sconfitte e grandi soddisfazioni, forse Frances è proprio l’eroina dei giorni nostri e di un’intera generazione alla ricerca di un proprio ruolo nella società e nel rapporto con gli altri. Camere in disordine e dialoghi ironicamente superficiali fanno da sfondo a una commedia dell’errare umano, inteso nella sua duplice accezione: il procedere, appunto, per errori e false partenze, ma anche il vagabondare (quindi errare) incessante di sagome alla ricerca della propria identità in una romantica New York, ancora più intrigante in bianco e nero, passando per la città simbolo dell’ispirazione poetica: Parigi.

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Valentina Cognini

Nata a Verona 24 anni fa, nostalgica e ancorata alle sue radici marchigiane, si è laureata in Conservazione dei beni culturali a Venezia. Tornata a Parigi per studiare Museologia all'Ecole du Louvre, si specializza in storia e conservazione del costume a New York. Fa la pace con il mondo quando va a cavallo e quando disquisisce con il suo cane.

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