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La fotografia bugiarda
di Patrick Bailly-Maître-Grand

4 minuti di lettura

Delle volte la fotografia sa mentire alla perfezione: ribalta la realtà, la fa a pezzi e poi la ripresenta in vesti distorte; l’opera di Patrick Bailly-Maître-Grand è, in questo senso, esemplare. Il fotografo francese, sfruttando le sue conoscenze scientifiche altera le prospettive a cui siamo abituati mostrandoci una realtà inusuale, spesso in negativo o in bianco e nero, affinché ci si renda conto della relatività in cui siamo immersi.

«Curieusement, ce que le cerveau ne sait pas faire ou néglige, la photographie, […] peut le faire». [Stranamente, ciò che il cervello non può o non vuole fare, la fotografia […] può farlo]

Patrick Bailly-Maître-Grand è nato nel 1945 a Parigi. Fisico e chimico, professioni da lui abbandonate in seguito a un incidente, si dedica completamente all’arte e predilige l’apparecchio fotografico solo a partire dagli anni ottanta, dopo essersi occupato di pittura e di disegno. Le sue opere sono state esposte nelle mostre di tutto il mondo e si trovano nelle collezioni di musei prestigiosi come il Centre Georges Pompidou a Parigi, il MoMa di New York e il Victoria Museum di Melbourne.

Le sue fotografie, per quanto vicine alle tendenze contemporanee, sono scattate esclusivamente in analogico: i pixel, infatti, sono per lui un «narcotico, un dolcificante che copre l’amarezza della realtà, nascondendo le lezioni che vanno imparate». Ma non per questo disdegna l’utilizzo di altri strumenti – molti dei quali inventati proprio da lui – affiancati alla sperimentazione di varie tecniche. Prima fra tutte è la dagherrotipia, il primo procedimento fotografico per lo sviluppo delle immagini attraverso l’utilizzo di una lastra di rame su cui è stato applicato elettroliticamente uno strato d’argento che viene sensibilizzato alla luce con vapori di iodio; o ancora la strobofotografia, tecnica fotografica che cattura rapide sequenze di movimenti attraverso lampi consecutivi che illuminano un soggetto in movimento su uno sfondo nero. Ciò che interessa a Bailly-Maître-Grand, quindi, è che la realtà venga percepita in un modo per nulla ordinario con l’obiettivo di destabilizzare chi osserva.

GOUTTES DE NIEPCE (2006) - 1
GOUTTES DE NIEPCE (2006) – 1

Ad esempio in Goutte de Niépce, serie del 2006, le immagini – che in realtà sono il frutto della sovrapposizione di due foto – si aprono, l’occhio è in grado di cogliere i dettagli del soggetto grazie alle gocce di gelatina alimentare che fungono da lente di ingrandimento ma allo stesso tempo distorcono l’immagine complessiva: si riesce a cogliere la realtà con più precisione – ma è una realtà vera o alterata? A cosa credere, al dettaglio nella distorsione o a ciò che normalmente vede l’occhio umano?

«Il faut percevoir en ce bricolage laborieux une quête nostalgique des années primitives de la photographie, quand tout était à découvrir avec une boîte, un bout de verre, de la chimie et du hasard».

[Dobbiamo leggere in questa laboriosa opera una quieta nostalgia per i primi anni della fotografia, quando tutto era ancora da scoprire, con una scatola, un pezzo di vetro, chimica e fortuna]

Ecco in cosa crede Bailly-Maître-Grand: nella fortuna, nei rudimentali strumenti fotografici, nella scienza.

GOUTTES DE NIEPCE (2006) - 2
GOUTTES DE NIEPCE (2006) – 2

L’artista vuole rappresentare la vita, in tutte le sue sfaccettature più difficili da percepire, dalle prospettive più assurde, cogliendo i particolari più nascosti; una vita senza colori ma con le sue sfumature di grigio, spesso in negativo, a volte rappresentando solo i contorni dei soggetti, le loro sagome piatte.

FORMOL’S BAND (1986) - 1
FORMOL’S BAND (1986) – 1

Ne è un manifesto la serie del 1986 Formol’s Band, una sconcertante condensazione di spazio e tempo, uno scorcio inquietante sulla vita e sul suo significato. Ritrae, infatti, degli animali la cui immagine è distorta dalla rotazione a 360° intorno ai barattoli di formaldeide che li contengono: l’effetto è distorsione pura, una dimensione nuova in cui spazio e tempo si miscelano e non si può più parlare di destra o sinistra, ma solo di un prima e di un dopo, di inizio e fine. Il soggetto, dispiegato nello spazio, diventa un cilindro visivo.

«Le cerveau humain “se souvient”, mais il n’enregistre pas toutes les étapes qui se déroulent devant ses yeux. Il bâcle radicalement les détails. En terme mathématique, on pourrait dire que le cerveau sait tres bien intégrer mais bien mal additionner».

[Il cervello umano “ricorda”, ma non registra tutte le fasi che si svolgono davanti ai suoi occhi. Esclude del tutto certi dettagli. In termini matematici, potremmo dire che il cervello sa integrare molto bene, ma non sa addizionare]

 

FORMOL’S BAND (1986) - 2
FORMOL’S BAND (1986) – 2

Ma rappresentare la vita è impossibile se si esclude un aspetto a lei complementare e inscindibile: la morte. E lo fa con un’immagine macabra, La Lounge Vanite del 1998, in cui il soggetto è un cranio, fotografato attraverso la tecnica della solarizzazione progressiva, che passa dal positivo al negativo, dalla luce al buio; come ogni essere vivente, passa dalla vita alla morte. E l’artista riesce a imprimere sulla pellicola il tempo che scorre, l’inesorabile azione di Crono che divora i suoi figli.

«Pour évoquer la mort, on parle de départ, de traversée du fleuve Styx. J’aime cette idée de croisière car elle suppose, en adieu, une lente évaporation du temps, ce temps qui accompagnait tous nos gestes, avant».

[Per evocare la morte, si parla di andarsene, di attraversare il fiume Stige. Mi piace questa idea perché presuppone un saluto, una lenta evaporazione del tempo, questo tempo che accompagna tutte le nostre azioni]

LONGUE VANITE (1998)
LONGUE VANITE (1998)

C’è dunque la vita. E infine la morte. Ma nel mezzo, cosa resta? Bailly-Maître-Grand se lo chiede in Que reste-t-il-de nos amours? (2004). Una parte sostanziale di vita Bailly la ricerca nelle soffitte affollate di oggetti abbandonati e ricolme di ricordi ormai logorati dagli anni, dal tempo, dall’abbandono. Ciò che resta, dunque, della vita e dei suoi giorni felici non è più intatto ma fa quasi paura, la nostalgia si mischia all’inquietudine, i toni di grigio rendono tutto più opprimente.

«Que reste-t-il de nos amours ? Une stupéfiante évaporation, une inconsolable perte».

[Cosa resta dei nostri amori? Una sorprendente evaporazione, una perdita inconsolabile]

QUE RESTE-T-IL ? (2004)
QUE RESTE-T-IL ? (2004)

 

 

 

 

 

Camilla Volpe

Classe 1995. Prima a Milano, ora sotto il Vesuvio - almeno per un po'. PhD candidate in Scienze Sociali e Statistiche. Mamma e papà non hanno ancora capito cosa faccio nella vita.

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