Con l’ingresso nell’epoca di internet sono aumentate le fonti di informazione a disposizione del cittadino ed è stata così scoperta l’acqua calda: i giornali raccontano ciò che fa comodo a loro. Per ovviare a ciò, qualcuno ha pensato di creare dei siti di informazione alternativa, quelli – per intenderci – che dicono “quello che i media non dicono”.
Fin qui nulla di male. Il vero problema però è che questi siti alternativi non hanno nessun controllo, sono assolutamente liberi di scrivere ciò che vogliono. Se in un giornale tradizionale c’è un Direttore, che è responsabile penalmente di ciò che viene scritto, questo sul web non accade: chiunque può, impunemente, scrivere qualsiasi cosa, senza curarsi se ciò che viene scritto sia vero o meno. Così, oltre a fare ciò che qualsiasi testata fa, cioè interpretare un fatto nel modo che più fa comodo, questi siti possono permettersi in tutta tranquillità di inventare notizie e tendenzialmente lo fanno cercando di toccare le corde più sensibili degli italiani, in modo da scatenare l’indignazione del “popolo del web” e far diventare virale la notizia. E, se la notizia diventa virale, questo significa tanti click sul proprio sito, che equivale a tanti introiti pubblicitari.
La soluzione al problema, almeno in linea teorica, sarebbe piuttosto semplice: basterebbe non cascarci. Eppure, per non si sa bene per quale misteriosa ragione, ciò che viene scritto su internet è considerato vero a prescindere.
Un esempio, di fantasia ma verosimile, è il seguente scambio di battute:
– “Ieri un rom ha impiccato un cane su un lampione a Quarto Oggiaro”
– “Davvero?! Come fai a saperlo?”
– “L’ho letto in internet!”
L’esempio è chiaramente inventato, ma non esiste nessuno che non si sia sentito rispondere “l’ho letto in internet” come sinonimo di verità. E infatti di solito si prende l’informazione per vera. E di solito la si racconta ad altre persone, aggiungendo, ad ulteriore garanzia di veridicità, che “me l’ha detto un amico”. E se qualcuno dovesse domandarsi come abbia fatto l’amico a saperlo? Beh, facile: “L’ha letto in internet!”. Poi si sa come funziona: il passaparola è inarrestabile, a maggior ragione se avviene tramite la condivisione di link su Facebook. Così decine, ma anche centinaia, se non migliaia o addirittura milioni di persone, saranno convinte che un rom abbia impiccato un cane su un lampione di Quarto Oggiaro, anche se in realtà ciò non è mai accaduto.
Inventare notizie non è mai stato tanto facile. Così come non è mai stato tanto facile diffamare qualcuno. Inventiamo un altro esempio:
– “Sai cosa ho letto su internet?!”
– “Dimmi!”
– “Hanno trovato il Presidente del Consiglio con un trans!”
– “Davvero?! Ho sempre sospettato che avesse strane abitudini…”
E nel giro di pochi minuti – grazie alla velocità di diffusione della notizia offerta dai social – milioni di italiani saranno convinti che il Presidente del Consiglio sia solito svagarsi con transessuali. Arriverà subito la smentita, ma sarà comunque troppo tardi: la sua credibilità sarà ormai compromessa.
Se questa notizia – che, ricordiamo, è di fantasia – fosse stata pubblicata su un giornale tradizionale, il direttore che ne ha autorizzato la pubblicazione si sarebbe dovuto fare – giustamente – qualche anno di carcere; su internet no, anzi: grazie all’elevato numero di click sul sito ci si guadagna un sacco di soldi, senza incorrere in nessun guaio con la legge.
Bisognerebbe intervenire da un punto di vista legislativo, senza per forza di cose partorire una qualche “legge bavaglio”. Non si deve impedire la diffusione di notizie sul web, ma bisogna fare in modo che chi fa disinformazione paghi, come avviene con la carta stampata.
In realtà ciò non sarebbe necessario, se si usasse un po’ di sano senso critico:
– “Ieri un rom ha impiccato un cane su un lampione a Quarto Oggiaro”
– “Davvero?! Come fai a saperlo?”
– “L’ho letto in internet!”
– “Aspetta che controllo… Guarda che la notizia viene dal sito www.quellocheimedianondicono.it, sei sicuro che sia successo davvero? Non trovo nessun altro riscontro…”
– “Mmh… hai ragione, forse è una bufala per acchiappare qualche click sul sito”
Eppure un simile scambio di battute sembra ancora più di fantasia che l’esempio. Così c’è chi grida allo scandalo per la presunta abolizione della storia dell’arte dalla scuole, salvo poi scoprire – come abbiamo mostrato qualche tempo fa – che si tratta essenzialmente di una montatura: sarebbe bastata una semplice ricerca su Google per scoprirlo.
Ma del resto come ci si può stupire, se c’è chi prende per vere le notizie di Lercio?