Il femminismo o pensiero femminista, come vera e propria teoria del genere femminile, lo si può considerare come una riflessione filosofica parallela, come, cioè, una fucina di genesi dei concetti. Il concetto, di per sè, è una idea pensata che si sviluppa storicamente sempre a partire da un confronto teoretico con l’esperienza. Nel caso della teoria femminista l’esperienza da cui si generano i concetti del femminismo è quella della vicenda storica del femminile, di come esso è stato posto nella cultura sociale dominante e di come si è potuto parlare della donna all’interno del più concreto sviluppo storico dell’umanità.
Le tre fasi del femminismo
Per consuetudine, in un volume recente Le filosofie femministe (2011) Franco Restaino, nel suo excursus storico sullo sviluppo del pensiero femminista, divide il femminismo nelle fasi storiche che lo hanno interessato, sebbene, come specifica Caterina Botti nel volume Cura e differenza, di movimento femminista vero e proprio, cioè quando le donne iniziano a scrivere di sè consapevoli della loro posizione storica, si può parlare solo a partire dalla seconda metà del Novecento.
Ripercorriamo brevemente le fasi storiche del femminismo inquadrando gli aspetti teorici delle loro diverse posizioni riflessive.
La prima ondata del femminismo
La prima fase del pensiero femminista, o “prima ondata del femminismo” si inaugura nel 1850 ed è il movimento noto come quello della suffragiste. Influenzato dallo scritto di Mary Wollstoncraft del 1792 il riconoscimento dei diritti della donna, la prima a rilevare che il ruolo di subordinazione della donna è dovuto a una discriminazione sociale e non a un fattore naturale. Questo periodo, che arriva fin dopo la Prima Guerra Mondiale, è segnato dalla lotta femminili per il riconoscimento dei diritti delle donne, e in generale per il loro accesso alla vita pubblica, sia sul piano politico della gestione dei poteri, sia sul piano lavorativo dell’organizzazione dei saperi.
Le donne in questo periodo rivendicano l’inclusione del genere femminile all’interno della vita sociale della nazione, attraverso il diritto al voto. Su quali basi avviene tale rivendicazione? In questo periodo si sviluppa una prima acuta critica al sistema socio-culturale del patriarcato (risalente alla Politica di Aristotele), contrassegnato dall’androcentrismo.
La società patriarcale
La società patriarcale funziona su un meccanismo di esclusione che relega le donne a uno stato minoritario e subordinato rispetto agli uomini. Nella società patriarcale sono gli uomini a decidere tutto quanto, perfino le caratteristiche tipologiche delle donne. Le suffragiste mettono in atto una strategia particolare. Esse accettano la caratterizzazione del femminile, cioè la differenza di genere, costituita dagli uomini, per la quale le donne hanno una naturale inclinazione alla cura delle relazioni interpersonali e una spiccata sensibilità. E proprio in base a queste caratteristiche “virtù femminili”, affermano le suffragiste, se le donne fossero incluse nella vita sociale come parte attiva, ci sarebbe un guadagno per tutta l’umanità in termini di progresso sociale.
Il limite di questa posizione, che si costituisce come un’uguaglianza nella differenza delle donne, cioè nell’inclusione di un diverso modo di essere nella società maschile, che porterebbe al riconoscimento di parità tra i sessi, è quello di assumere acriticamente il modello societario formato solo da un genere, cioè da quello maschile. Le suffragiste non mettono in discussione che il soggetto neutrale e universale sia in realtà frutto di una categorizzazione maschile, una costruzione filosofica e sociale di un solo genere, ma lamentano il fatto di non potervi essere incluse anche loro. In altri termini gli uomini continuano a essere misura di tutte le cose, e le donne entrano, limitatamente, a far parte di questa misura, che è, però, unilaterale e autoreferenziale di un solo genere, quello maschile.
La seconda e la terza ondata
Ad operare una decostruzione della nozione di soggetto astratto, atemporale e disincarnato, non arriva neppure il femminismo di seconda ondata che va dal ‘68 alla fine degli anni 70, che invece, avendo come obiettivo quello di una totale e completa uguaglianza con gli uomini (cioè di avere la stessa libertà di decidere della propria vita e di fiorire), cerca di produrre un concetto parallelo a quello di Uomo, così che accanto al soggetto maschile e ai suoi diritti, ci fosse il soggetto femminile, cioè la Donna.
Questa mossa teorica è suscitata dal libro di Simone De Beauvoir Il secondo sesso in cui appare evidente che la donna venga di fatto considerata come l’altro dal soggetto, e cioè come oggetto, utile all’uomo e per l’uomo per erigersi e formare sé stesso. Le donne cominciano quindi ad avvertire l’esigenza di istituire una loro soggettività, di pensarsi come soggetti indipendenti rispetto al soggetto maschile che le aveva degradate a oggetto, riformando una nuova metafisica dell’essere in cui la particolarità ontologica delle donne diventi risorsa per la creazione di una specifica identità femminile. Il risultato è che tanto quanto il concetto di Uomo fagocita le differenze tra i singoli uomini, così quello di Donna, altrettanto astratto, implica che le donne siano tutte uguali, che non sussista una reale differenza interna al genere femminile. Mentre invece, in tempi più recenti, il femminismo lesbico e postcoloniale, reintroducono il tema della differenza tra donne, che sarà pensata a fondo nella terza ondata di femminismo, noto come femminismo radicale, cioè che va alla radice stessa del senso della differenza sessuale e di genere.
Metafisica dei sessi e femminismo
In questa fase il pensiero femminista si interroga su un aspetto davvero radicale della storia dell’umanità, e cioè sul senso di quella che è stata chiamata la “metafisica dei sessi” e cioè sulla originaria ripartizione storico-sociale dell’umanità in generi diversi. In questa ultima fase la teoria femminista è occupata a decostruire non solo la nozione di soggetto come ideale dell’umanità fazioso e parziale in quanto costruzione di una società maschile e maschilista (come afferma Adriana Cavarero, l’Uomo è doppiamente mostruoso sia in quanto fagocita le differenze tra persone, sia poiché pretende di ricomprendere al suo interno anche le donne, presentandosi come al contempo maschile e neutro), ma anche ad andare alla radice del motivo per il quale l’umanità è stata rappresentata come divisa in maschile e femminile, e non invece come una compagine unitaria.
Il movimento femminista di nuova generazione, in quanto mette in discussione in modo critico l’ideale stesso di umanità racchiuso nella categoria di soggetto universale, risulta fondamentale per l’umanità nella sua interezza, in quanto pone le basi per un nuovo modo di rappresentare l’umanità. Rappresenta un altro versante della critica al soggetto cartesiano come unità delle differenze in cui le differenze stesse spariscono nell’adesione a un modello identitario astratto. Ciò che le femministe affermano è il compito di riconoscere le differenze come tali in tutte le declinazioni possibili, e questo è il modo di evitare la discriminazione di gruppi di persone (oltre alle donne) che pure esistono e meritano di poter esprimere la loro esistenza senza sentirsi emarginati o subalterni.
Differenza come operazione mentale
In merito alla questione della differenza sessuale, sulla quale soprattutto il femminismo di ultima generazione in Italia e in Francia si è espresso, con le pensatrici Luce Irigaray, Carla Lonzi, Luisa Muraro e Adriana Cavarero, è interessante la posizione della psicanalisi lacaniana per la quale la differenza sessuale non sarebbe qualcosa di reale, ma a sua volta una costruzione simbolica. Il fallo e la vagina avrebbero una connotazione simbolica fin dall’inizio del riconoscimento della differenza sessuale tra uomini e donne. In altri termini, e questo è davvero interessante, la ovvia differenza anatomica non è inessenziale per le differenze di genere, ma è a sua volta una costruzione mentale, del pensiero. È scientifico che esistono le differenze biologiche, ma è una operazione mentale il fatto di fondare su questa differenza la rappresentazione dell’umanità. Un modo di ripensare la differenza intragenerica è quello di riconoscere la diversità in base alla voce, come afferma Cavarero, accorgersi di una vera e propria “fenomelogia vocalica dell’unicità”. Infatti la voce è l’elemento umano che più di tutti palesa la differenza tra individui e rivela l’unicità della persona. Questo tipo di femminismo si presenta quindi non solo come una svolta nel pensiero femminista, ma anche come un insegnamento all’umanità intera fondato sulla capacità di comprendere la pluralità e quindi l’unicità delle singole persone.
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