Sono molti gli ambienti in cui si può fare Teatro, e in verità non ci sono luoghi in cui non si possa fare, ma alcuni di questi sono più floridi di idee e stimoli rispetto ad altri. Partendo dalla scuola secondaria di secondo grado e arrivando in Università si passa rispettivamente da un concetto di teatro per lo più pedagogico a uno artistico e creativo. Ovviamente, nessuno dei due esclude l’altro, ma il focus del lavoro svolto è sicuramente diverso. Nelle aule dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano si possono incontrare entrambi gli approcci nelle forme del Corso di Alta Formazione Teatro Antico In Scena e della Compagnia Kerkìs Teatro Antico in Scena, entrambi guidati dalle indicazioni della Professoressa Elisabetta Matelli.
Abbiamo fatto alcune domande a due ragazzi che fanno parte del Corso di Alta Formazione, ecco le loro risposte.
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Il Percorso di Alta Formazione: Giulio e Lorenzo
La prima domanda, un po’ di rito: quale percorso di studi avete fatto?
Giulio – Io sono al secondo anno di Lettere classiche, dopo aver frequentato il liceo classico qui a Milano. E ho conosciuto Kerkìs quando sono andato a vedere Alcesti con la scuola.
Lorenzo – Anche io ho fatto il liceo classico qui a Milano. Ora faccio Lettere moderne, indirizzo artistico – teatrale.
Siamo quasi alla fine, come sta andando il percorso di Alta Formazione?
Lorenzo – Io ammetto che avrei voluto iniziarla già dal primo anno, ma gli impegni erano molti e al primo anno non si vuole mettere troppa carne al fuoco. Ho apprezzato fin da subito il lavoro di Christian [Poggioni nda] e di Eri [Çakalli nda], come ci hanno indirizzato e come hanno aiutato anche chi magari è alla prima esperienza di teatro. Attraverso esercizi hanno aiutato tutti ad uscire un po’ dal guscio e siamo arrivati a rappresentare Lisistrata! Opera che ha tematiche molto particolari e un certo tipo di linguaggio. Alla fine del percorso si vede che non c’è più quella timidezza e inibizione che c’erano prima. Apprezzo molto il gruppo che si è creato, molto unito. Mi piace la multidisciplinarietà: il canto, il ballo, i movimenti… Io non sapevo cantare, ma durante il percorso ho apprezzato di poter affrontare una mia debolezza.
Giulio – Io mi sento di confermare ciò che dice Lorenzo. Anche io pensavo di farlo al primo anno quando sono venuti a presentare il laboratorio (interno al piano di studi nda) che poi ho frequentato e l’ho percepito proprio come propedeutico al percorso di Alta Formazione. Questa inoltre è stata la mia prima esperienza teatrale e grazie ad essa ho lasciato indietro tante riserve e timidezze che avevo.
Teatro universitario
Pensate che fare un laboratorio di teatro interno alla vostra università abbia un’influenza sul vostro percorso di studi? È diverso rispetto a un corso esterno di terze parti? Avete imparato anche delle skills che non sono strettamente legate alla recitazione e al teatro?
Giulio – Sicuramente sul mio percorso di studi questa esperienza ha un’influenza, anche da un punto di vista di come affrontare la vita e determinate situazioni. Affrontare a teatro determinate situazioni mi aiuta poi a leggerle al di fuori, se mi dovessero capitare. Già mi rendo conto che quando parlo con altre persone qualche freccia in più nella faretra la possiedo. Sicuramente sono anche molto più consapevole di tutto quello che faccio.
Lorenzo – Riguardo la prima parte della domanda io già ho una buona infarinatura e passione per il teatro. Sicuramente con il percorso di Alta Formazione – e qui devo fare l’assist alla Compagnia – mi sono appassionato anche al vedere gli spettacoli. Sicuramente recitare in università, rispetto al liceo, porta a un livello di lavoro più alto, più intenso e partecipato. Per me il teatro in generale è stato fondamentale, avendo io anche la sindrome di Asperger. Mi sono approcciato al teatro per migliorare nelle relazioni sociali e nell’esprimermi davanti ad altri. Ringrazierò sempre il teatro per quello che mi ha dato. E non solo, per me è importante anche il continuare a farlo, perché ogni giorno mi tengo allenato e riesco sempre meglio a interagire col mondo che ci circonda.
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Il teatro antico…
Mettere in scena i testi antichi, soprattutto per Giulio che fa lettere classiche, ha significato un approccio diverso ad essi? Piuttosto che leggerli soltanto.
Giulio – Senza dubbio, mi sono reso conto empiricamente come di fatto l’attività filologica possa arrivare a comprendere molte cose ma solo fino ad un certo punto, ma poi si scontra con i limiti della messa in scena. Credo che serva una dialettica tra filologia e messa in scena, le due sono complementari.
Lorenzo – Sicuramente un conto è leggere soltanto un testo, dall’altro è metterlo in scena. Quando ci siamo seduti a ragionare sul mettere in scena Lisistrata, ad esempio, abbiamo letto di Anagiro che ha un suono simile al nome di una pianta puzzolente, ci siamo dovuti interrogare su come far capire agli spettatori questo riferimento. Questo aspetto della messa in scena l’ho trovato molto affascinante.
È diverso recitare un testo antico rispetto a uno moderno o contemporaneo?
Giulio – Penso che sia inevitabile essere interrogato dal testo antico. Come ad esempio i vari riferimenti a quel mondo, non possono passare inosservati da chi li recita. Per recitare consapevolmente senza dubbio bisogna fare un certo sforzo per arrivare a quel mondo antico.
Lorenzo – Io ho recitato anche testi di teatro dell’assurdo e sicuramente è un mondo completamente diverso, ma assecondo ciò che dice Giulio. Il testo antico sembra più distante ma in realtà porta tematiche che affrontiamo sempre ancora oggi.
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Metterete in scena Lisistrata, cosa significa portare in scena un testo di questo tipo?
Lorenzo – Aristofane sicuramente sceglie un approccio molto fantasioso: le donne prendono il potere rinunciando ad avere rapporti sessuli coi propri mariti. I concetti espressi sono molto attuali: il tema della guerra, della necessità della pace…Insomma tutti temi che ci tangono ancora oggi. Lisistrata è un testo divertentissimo, però lo si vuole mettere in scena per far capire agli spettatori quanto sia importante mettere ancora in scena questi temi.
Giulio – Mi sento solo di dire ciò che dice Omero nell’Iliade, parafrasandolo: tale è la generazione delle foglie, quale è quella degli uomini. Il paragone rende l’idea del fatto che questi testi possono sempre parlarci, infattti i temi sono inesauribili perché l’uomo spesso non progredisce e tende a fare sempre le stesse esperienze.
A bruciapelo: commedia o tragedia?
Lorenzo – Tragedia!
Giulio – Anche io ho più un animo tragico.
La compagnia: Francesca e Tancredi
Dal Corso di Alta Formazione si può accedere però a un’altra realtà molto interessante: la Compagnia Kerkìs – Teatro Antico in scena. Il gruppo di giovani attori Under30 mette in scena spettacoli organizzati in una vera e propria Stagione che va in scena solitamente al Teatro Pime, all’Osoppo Theatre Valentina Cortese e si prende cura di portare alcune messe in scena anche al Teatro della Casa di reclusione di Opera. Qui di seguito abbiamo intervistato due membri della Compagnia:
Anche per voi una domanda di rito: cosa avete studiato?
Francesca – Ho fatto un percorso di studi classici al liceo che poi è proseguito prima nella triennale e poi magistrale in Lettere classiche. Ho studiato all’Università Statale di Milano.
Tancredi – Io ho studiato Lettere classiche in Cattolica, poi la magistrale in Scienze dell’antichità.
Avete fatto l’Alta Formazione? Quando?
Francesca – Io ho seguito le edizioni del 2022 e del 2023, quindi quelle di Alcesti e di Ifigenia in Tauride.
Tancredi – L’ho fatta per la prima volta nel 2018, un’edizione su Rudens di Plauto e l’esperienza mi è talmente tanto piaciuta che poi ho fatto anche le due successive: Antigone di Sofocle e Oreste di Euripide.
Mettere in scena uno spettacolo
Con quale spettacolo hai iniziato a frequentare la Compagnia? Come è stato?
Francesca – Il primo spettacolo con la Compagnia è stato Elena nelle repliche estive, subito dopo la mia prima Alta formazione. Parte del cast originale non era disponibile e dunque hanno chiamato alcuni di noi per fare il coro. Non c’è stato molto un modo in cui mi «tirato dentro» perché all’inizio non ero del gruppo e poi ne sono velocemente diventata parte. Fin da subito si diventa parte della compagnia e inizi a lavorare da lì.
Tancredi – Io ho iniziato con Misantropo che avevamo imbastito in pre-pandemia e poi è stato ripreso con un cast diverso tanto che io stesso avevo parti completamente diverse. È stato molto bello ma anche impegnativo perché ho dovuto mettere in discussione diverse cose che avevo appreso. Mi sono messo in gioco e ho dovuto trovare un nuovo modo di andare in scena. Avevo molta ansia da prestazione perché non si trattava più di un semplice saggio (anche se comunque anche gli spettacoli dell’Alta Formazione non sono solo quello). Tuttavia ero molto agitato, mi dovevo mettere alla prova. In quell’occasione interpretavo Gorgia e la regista Federica Guerrieri mi chiedeva di non lavorare solo formalmente, ma di cercare di sentire per davvero ciò che stavo dicendo attraverso il mio personaggio.
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È diverso dall’Alta Formazione? Perché?
Francesca – Nell’Alta Formazione sicuramente il percorso è impostato in un’ottica di avvicinamento al teatro: molte persone che partecipano sono alla loro prima esperienza in assoluto. Di conseguenza ci sono molti esercizi dedicati alla conoscenza della pratica teatrale, che poi portano al montaggio dello spettacolo anche in base alle forze e caratteristiche degli attori presenti. In Compagnia invece il lavoro è diverso: le basi si danno per acquisite, è più elevato perché si pone attenzione anche sull’aspetto estetico e filologico. Dunque all’attore è richiesta una performance diversa perché ora è lui che deve raggiungere un obiettivo e non è lo spettacolo ad essere costruito su di lui. Quando lavori con la compagnia sei totalmente immerso e dunque sei un po’ più a tuo agio e sei disponibile a sperimentare maggiormente, cosa che favorisce la ricerca.
Tancredi – Come dice Francesca, le basi ormai sono date per assodate e si passa subito all’azione. Gli spettacoli di compagnia hanno delle scadenze, dei tempi più brevi (nel bene e nel male). Quando c’è tempo facciamo anche training in preparazione, sicuramente il valore formativo c’è sempre ma ci si forma provando lo spettacolo.
Non solo attori
Tancredi, avete messo in scena Menecmi di recente, di cui tu hai curato anche la traduzione. Come è stato mettere in scena un testo tradotto da te?
Tancredi – Tradurre per la scena è molto difficile soprattutto un testo antico che bisogna cercare in qualche modo di svecchiare. Infatti per far ridere bisogna usare un linguaggio adeguato ai nostri tempi. Io e Roberto Bernasconi abbiamo lavorato molto bene insieme: con i nostri mezzi [di dottori freschi di laurea nda] siamo riusciti a creare una traduzione che sta avendo un discreto successo. È anche una traduzione molto arricchita, un po’ come succedeva in antichità: sappiamo che alcuni manoscritti hanno varianti d’attore con battute aggiunte. Allo stesso modo noi in Menecmi abbiamo riadattato battute notando come facessero più ridere nella nuova versione. Ciò che ci piace del nostro Menecmi è l’essere un grande calderone dei vari interventi che gli attori hanno aggiunto nel corso degli anni. Ci sono diversi doppi per questo spettacolo, cosa che rende ancora più interessante il lavoro perché la versione di ciascun attore è diversa. La traduzione è cresciuta nel tempo insieme alle messe in scena, come avveniva nell’epoca antica. Tradurre il testo non è stato facile, ma devo ammettere che mi cimenterei di nuovo nell’impresa. Ora che sono più consapevole cercherei di renderla il più fruibile possibile. Il traduttore per la scena ha il compito di rendere il testo il più fruibile possibile, senza stravolgerlo ovviamente.
Ma perché il teatro antico?
Alla domanda «Perché il teatro antico?» Francesca e Tancredi hanno risposto con le parole seguenti.
Francesca – Perché un conto è leggere i testi, un conto è vederli e ancora tutt’altra cosa è metterli in scena tu, lavorandoci in prima persona. Lavorando sul testo che studi, affrontarlo in maniera pratica cambia completamente la prospettive. Sicuramente nascono delle questioni rispetto al pensiero acquisito accademico: ci si aspetterebbe un teatro perfettamente filologico, ma il teatrante trova poi davanti a sé altre problematiche. Se non sbaglio dagli anni ’60 del Novecento, gli studiosi di teatro antico hanno dato un forte impulso all’attenzione al testo spettacolare, cioè tutte quelle cose che non ci sono giunte di pratica teatatrale. Dobbiamo ricostruire il teatro antico non solo da un punto di vista accademico, ma anche attoriale.
Tancredi – Sicuramente la mia risposta sarà di parte, ma credo principalmente per la grande attualità presente nei testi classici. Se ad esempio si legge una poesia di Catullo si può tranquillamente pensare che quell’uomo ha pensato e vissuto le nostre stesse cose; la stessa cosa vale per i testi teatrali. Le tragedie greche offrono archetipi ripresi grandemente nella letteratura successiva e sono sempre attuali. Se si conosce come metterle in scena e adattarle, sono appassionanti e adatte a qualsiasi tempo. Ci sono sicuramente aspetti che non possiamo più abbracciare – come la misoginia che caratterizzava i greci – ma per il resto è facile immedesimarsi nelle parole dei personaggi.
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Essere protagonisti
Cosa ha voluto dire per voi fare teatro all’interno della vostra università? Lavorare in Compagnia ti ha dato delle skills che magari non avevi acquisito in Alta Formazione?
Francesca – Le skills che si acquisiscono sono sempre diverse e in continua crescita. In Compagnia sicuramente si imparano molti aspetti pratici. Bisogna dire che il teatro in generale fornisce un modo di stare, un’attenzione, un’empatia e qualità fisica che prima non si possiede. Fare teatro antico nel mio percorso universitario mi ha permesso di essere più vicina alle tematiche trattate e una vicinanza personale. Infatti, è diverso avere in mente dei concetti teorici e impersonare i problemi che l’uomo si trascina attraverso le epoche.
Tancredi – Per me è stato molto significativo: ho sempre fatto teatro al liceo e avevo bisogno di proseguirlo anche all’università. Il teatro classico poi unisce i miei studi alla mia passione. Secondo me il teatro a livello universitario deve esserci ovunque: è terapeutico, aiuta con le relazioni sociali, aumenta l’abilità oratoria. Per me ad esempio è importante saper parlare bene, ora che lavoro come professore.
Cosa vorreste mettere in scena?
Francesca – Mi piacerebbe che si affrontassero i testi che di solito sono lasciati da parte: Seneca, ad esempio, che non si sa ancora se fosse soltanto letto o anche rappresentato.
Tancredi – A me piacciono proprio i drammoni, quelli che si sa già che finiranno male. Noi abbiamo già portato in scena Agamennone e a me piacerebbe fare Coefore.
Commedia o tragedia?
Francesca – Tragedia perché la commedia è in realtà molto più strutturata, con canoni ben precisi. Essendo legata al mito la tragedia permette una psicologia più profonda che la rende anche più vicina al contemporaneo.
Tancredi – Tragedia, anche se da mettere in scena mi piace molto anche la commedia perché è davvero divertente. Le tragedie hanno davvero qualcosa di catartico: esci dal teatro purificato.
Largo ai giovani
In ambiente universitario, nelle accademie, negli spazi sociali… ovunque ci sono giovani che fanno cultura e lavorano con passione perché credono nei valori umani. Alla fine, come si vede da ciò che hanno detto gli intervistati, il teatro ha questo obiettivo: interrogare l’uomo sulla sua umanità. Il teatro antico è un grande bacino da cui raccogliere stimoli e interrogazioni.
Kerkìs Teatro Antico in Scena è un’associazione giovane per i giovani, tanto che la maggior parte del suo pubblico sono studenti delle scuole secondarie di secondo grado di Milano e provincia. La Compagnia, portando il messaggio degli autori antichi, fa ciò che gli stessi facevano attraverso le loro opere: educare gli spettatori e provare a costruire un mondo migliore. E attraverso il Corso di Alta Formazione sempre più giovani possono diventare protagonisti di questo movimento culturale.
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