Uguaglianza, accettazione, inclusione: sono questi i principi che trapelano dalle opere straordinariamente ingegnose e creative di Keith Haring, lo street artist scomparso poco più di trent’anni fa, i cui messaggi però non smettono ancora oggi di essere attuali. In occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, vogliamo ricordare la lotta contro ogni tipo di discriminazione portata avanti da Haring attraverso la sua arte.
Keith Haring, un artista per tutti
«Mi è sempre più chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi: l’arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare» affermava Keith Haring, impegnando effettivamente tutto il corso della sua vita per il raggiungimento di quest’obiettivo.
Sin da bambino appassionato di disegno, l’artista cominciò dapprima gli studi secondari in grafica pubblicitaria, per poi abbandonare e proseguire un’esperienza artistica personale e autonoma, seppur arricchita da conoscenze e amicizie importanti come quella con Jean-Michel Basquiat.
È a New York, però, che l’artista trova la sua vera vocazione: sentendosi ispirato dai luoghi della scena urbana cittadina, trovò la propria identità nel graffitismo, fino ad intervenire sugli spazi pubblicitari vuoti della metropolitana, vero e proprio laboratorio pubblico. Da qui il successo fu sempre più solido e in salita.
I «Radiant Boys»
La maggior parte delle opere di Haring sono caratterizzate dalla presenza di omini stilizzati senza tratti particolarmente distintivi, bidimensionali e agender: non è possibile evincerne il sesso, pertanto, privi di qualsiasi caratterizzazione, riflettono uguaglianza e unità rispetto a ogni tipo di discriminazione razziale, sessuale o di qualsivoglia genere.
Celeberrimi i tre omini di Pop Shop III che ripropone il «non vedo, non sento, non parlo» del motto giapponese, per denunciare il disinteresse da parte della società verso i diritti umani e l’AIDS.
Stesso tema presente, d’altronde, in Ignorance=Fear, per sottolineare il sentimento di vergogna che prova spesso chi è ammalato e l’indifferenza da parte della politica e della società rispetto al problema.
«Tuttomondo»
Nella metà degli anni Ottanta, Keith Haring si ammalò di AIDS e gli ultimi anni della sua vita furono trascorsi proprio all’insegna della sensibilizzazione sulla malattia, dando un supporto concreto con la creazione della Keith Haring Foundation.
L’ultima opera da lui realizzata prima della morte rappresenta un inno alla vita e la sua ultima più grande testimonianza artistica. Si tratta di Tuttomondo, un grande murales realizzato nel 1989 sulla parete esterna della canonica chiesa di Sant’Antonio Abate a Pisa e definito dallo stesso artista uno dei suoi progetti più importanti.
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Dipinto in soli quattro giorni, il murales raffigura 30 figure dinamiche e gioiose, vitali, incastrate tra loro per simboleggiare l’armonia e la pace nel mondo. Al centro gli omini formano la croce pisana; si vede poi un delfino, simbolo della natura, contrastata dall’artificialità della televisione. Come sempre, i colori sono vividi e accattivanti, lo stile immediato e festivo, l’arte è universale a ricreare una dimensione in cui tutti possano riconoscersi.
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