È il 25 dicembre. Due piccole scintille compaiono nella notte, seguite da una sghemba risata. Avvengono fatti insoliti: le case sono messe a soqquadro, non si trovano più i dolci appena sfornati, spariscono oggetti. Nei vicoli scuri si sente un mormorio di sottofondo, stridulo e incessante, che scompare assieme ai primi raggi di luce. Poi, il silenzio. Tutto sembra essere tornato alla normalità, ma lo scenario si ripete al calare del sole: così ogni giorno – anzi, notte – fino al 6 gennaio. Il latte continua ad andare a male e odori ripugnanti tormentano le narici, per poi svanire con la fine delle festività.
Ciò è opera dei kallikantzaroi: creature simili ai folletti e paragonati talvolta ai gremlins, seminano disordine nell’atmosfera festiva che caratterizza l’ultima parte dell’anno. Appartenenti al folklore balcanico e legati soprattutto alla Grecia, rientrano in quella categoria di spiritelli malvagi che si divertono a sbeffeggiare gli uomini, traendoli in inganno e infastidendoli con le loro malefatte. Il loro nome rimane tutt’oggi un mistero, pur essendo l’origine di questo termine molto discussa: vi sono coloro che propongono una derivazione dal greco kalos kentauros (“bel centauro”), mentre altri studiosi ritengono che sia più probabile un collegamento con il turco kara kondjolos (“nero” e “succhiatore”, quindi con una connotazione vampiresca). Che si propenda più per l’una o per l’altra interpretazione, salta all’occhio un elemento comune. Si tratta della sfera del bestiale e del mostruoso, a cui possono essere ricondotte entrambe le ipotetiche origini.
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Il kallikantzaros è – prima di tutto – una piccola creatura disgustosa, sporca e ferina. Può avere delle zanne e artigli affilati, una pelliccia scura e lunga, corna o code che spuntano, prendendo di volta in volta le sembianze di un cinghiale, di una scimmia o di un lupo, senza che la sua immagine aderisca a uno schema ben preciso. Ciò che deve rappresentare è il disordine del mondo naturale, quel mondo naturale più recondito e spaventoso, ignoto, in cui si riversano i timori umani e da cui questi ultimi generano figure inquietanti. Proprio per questo motivo, capita molto spesso che i kallikantzaroi vengano rappresentati come esseri ibridi, dotati di caratteristiche appartenenti alle specie più differenti: un’accozzaglia bizzarra e grottesca, simbolo del caos da cui si originano e che portano nel mondo.
Il loro posto non è alla luce del sole, che evitano con ogni sforzo possibile, bensì nelle profondità della terra: legati al mondo infero, trascorrono buona parte dell’anno nel sottosuolo nel tentativo di eliminare dalle fondamenta l’albero cosmico che tiene in piedi la Terra stessa. Visto il loro odio nei confronti della luce, quale motivo li spinge a lasciare questo luogo per recarsi in superficie? Qui la leggenda incontra la religione: secondo le credenze popolari balcaniche, proprio il 25 dicembre – con la ricorrenza della nascita di Gesù – i tessuti dell’albero si rigenererebbero del tutto, permettendo al mondo di continuare a esistere e scatenando l’ira dei kallikantzaroi, che hanno trascorso tutto l’anno precedente tentando di consumarlo.
La rabbia che provano li spinge ad abbandonare momentaneamente il ventre della terra, una rabbia che si tramuta in desiderio di vendetta nei confronti degli uomini. Invadono le case, rubano il cibo e insudiciano ogni ambiente in cui mettono piede, il tutto rimanendo nascosti nell’ombra e scombussolando la quotidianità di chi è così sfortunato da trovarsi sulla loro strada. Ciò che prediligono è intrufolarsi nelle case passando per il camino, motivo per cui quest’ultimo deve essere sempre acceso, al fine di allontanare con la sua luce la venuta di questi folletti mostruosi. I tormenti dei kallikantzaroi si prolungano per le cosiddette “Dodici Notti” – dal 25 dicembre al 6 gennaio – e continuerebbero anche più a lungo, se non fosse per un rituale che pone fine ai loro scherzi: la Benedizione delle Acque, un rituale ortodosso che ha luogo in Grecia il giorno dell’Epifania. Il Πιάσιμο του Σταυρού, letteralmente prendere la croce, consiste nel lanciare una croce in uno specchio d’acqua e simboleggia il rinnovamento a cui si va incontro con la venuta del nuovo anno. La purificazione spirituale che ne deriva scaccia ogni male dalla Terra, compresi questi spiriti dispettosi, i quali si vedono ricacciati nelle profondità del sottosuolo.
Tanto è il terrore provato nei confronti dei kallikantzaroi, al punto da generare tutta una serie di credenze in merito. Nascere la notte di Natale è considerato pericoloso. Uno sguardo mancato, una piccola disattenzione e, senza quasi accorgersene, si può vedere il proprio figlio trasformato in un kallikantzaros. Solo con la luce e il calore – emanati da una torcia o da un forno – si può scongiurare questo pericolo, quella luce e quel calore ripugnati dalle creature infere, che di fronte a essi si dileguano nel buio della notte.
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Bibliografia:
Credenze popolari di Cos e Lero dalle carte inedite di Iakovos Zarraftis, Tommaso Braccini (2019), pp. 307-336.
La fata dai piedi di mula: licantropi, streghe e vampiri nell’Oriente greco, Tommaso Braccini (2012), p. 82.