Sospiriamo al solo pensiero di doverci infilare in un qualsiasi iter burocratico. Documenti, SPID, richieste, firme, sportelli, scadenze: la vita dell’umano contemporaneo è un susseguirsi di alienazioni e bagni nell’assurdo di una vita quotidiana in cui tutto deve essere rendicontato e sottoscritto. Perché se mancano un timbro, una firmetta, una virgola, bisogna ricominciare da capo, e l’approdo della pubblica amministrazione e dei servizi al cittadino su internet sembra aver solo moltiplicato i problemi e le attese.
Tutto questo era già espresso con potenza da Frank Kafka e dai suoi personaggi, invischiati in una ragnatela di problemi e minuscoli impedimenti che li lasciano sospesi in realtà fastidiosamente reali. I protagonisti si sentono spesso gli unici a non capire effettivamente cosa stia succedendo intorno a loro, e non di rado sono circondati da persone che sembrano sapere benissimo quale sia il loro ruolo, come in un teatro di marionette. Quale sensazione potrebbe esprimere meglio i tempi in cui viviamo?
In Kafka vediamo tutta l’impossibilità di muoversi perché si è bloccati da un elemento esterno fuori dal controllo dei personaggi – come può essere la burocrazia – da un rimbalzo di responsabilità su cui non hanno il minimo potere, specialmente quando ci sentiamo vicinissimi all’obiettivo. Leggere i suoi romanzi e i suoi racconti ci avvicina a lui e ai suoi contemporanei di inizio secolo, facendoci chiedere se di fronte agli iter burocratici l’umanità si sia sempre sentita così infastidita.
La burocrazia, intesa come l’insieme di funzionari, uffici ed eventuali scartoffie preposti all’amministrazione, appare nella storia là dove esiste un potere accentratore. Un tentativo di ricostruirne la storia deve quindi viaggiare in parallelo alle vicende degli organismi “statali”, non solo in senso moderno ma includendo ogni forma di governo su un territorio e su delle persone. Questo perché tutti i grandi imperi e regni del passato (sumeri, bizantini, cinesi, persiani e così via), hanno avuto bisogno di un apparato amministrativo, fin dall’antichità, ma la spinta decisiva arrivò alla fine del Medioevo. Solo nel Cinquecento, infatti, si affermarono le logiche organizzative che, con poche variazioni, sono arrivate fino ad oggi: una gerarchia più o meno meritocratica in cui tutti i ruoli sono definiti con precisione e una serie di regole che permettono al sistema burocratico di rimanere immutato (fossilizzato, verrebbe quasi da dire) se non di fronte a cambiamenti epocali di natura sociale o economica. Non meno importante è la nascita di un ceto di funzionari che per la loro stessa sopravvivenza hanno tutto l’interesse a mantenere stabile l’organo per cui lavorano e che quindi a prescindere dal contesto storico devono essere fedeli al potere sovrano che servono.
Leggi anche:
Brazil di Terry Gilliam: quando burocrazia fa rima con distopia
La burocrazia europea si sviluppò in pari con l’affermazione delle monarchie nazionali, insieme alle spinte centralizzatrici: i re avevano bisogno di far sentire in modi diversi la loro presenza in modo capillare, toccando finalmente porzioni di territorio che avevano mantenuto per secoli autonomie più o meno tollerate. Prima, in moltissimi casi, l’idea di doversi interfacciare nei modi così ufficiali della burocrazia con un potere che ama celarsi, come nel Castello di Kafka, era incomprensibile. C’erano sì idee e rappresentazioni del potere, ma l’idea che l’amministrazione potesse essere pervasiva e necessaria per far funzionare uno stato era lontana dal sentire comune.
I…