Ogni civiltà ha un mito, una narrazione che viene condivisa e celebrata da coloro che appartengono, o che sentono di appartenere, a quella data nazione.
Tutte le grandi civiltà hanno un cantore, un poeta che narra l’epopea dei padri fondatori.
Così anche la civiltà americana contemporanea ha un suo bardo, un suo cantore epico: John Ford, l’Omero d’America.
John Ford (il cui vero nome è John Martin Feeney) è nato nel 1894 a Cape Elizabeth, nel Maine, da genitori irlandesi. Durante la prima giovinezza visitò l’Irlanda, che sarà spesso presente nella sua filmografia (si pensi a Il magnifico irlandese, 1965). Dopo aver svolto diversi lavori, nei primi anni ’10 il giovane Ford raggiunse il fratello maggiore Francis, che già da qualche anno lavorava a Hollywood come attore e regista di b-movies presso la Universal. Dapprima accreditato come Jack Ford, solo a partire dal 1923, dopo aver diretto decine di pellicole, cominciò a firmarsi John Ford. Difficile fare piena luce sui primi passi di Ford nel mondo del cinema. La Fox, la casa di produzione alla quale il nome di Ford fu legato per moltissimi anni, dichiarò che molti film del primo periodo erano andati perduti a causa di un incendio che aveva distrutto le pellicole. Alcune ricerche condotte negli anni ’60 e ’70 hanno riportato alla luce molte pellicole del primo Ford – un tempo dichiarate perdute – e hanno alimentato il sospetto che quegli incendi altro non fossero che un pretesto per evitare i costi necessari alla conservazione e al restauro delle copie in celluloide.
Ciò che è sicuro, come si evince dal volume John Ford (University of California press, 1968) di Peter Bogdanovich, è che Ford, nei primi anni, ricoprì vari ruoli (trovarobe, comparsa, controfigura, attore, eccetera), spesso nelle pellicole in cui lavorava anche il fratello. Per il futuro regista fu fondamentale l’incontro con il grande maestro americano David Wark Griffith. Quest’ultimo concesse a Ford la possibilità di partecipare come comparsa al primo grande capolavoro hollywoodiano: La Nascita di una nazione (1915). Il 1917 segna l’esordio di Ford dietro la macchina da presa, con il cortometraggio western Il Tornado. Nello stesso anno gira Centro!, il suo primo lungometraggio, nel quale molte inquadrature appaiono identiche a quelle del suo capolavoro assoluto Sentieri Selvaggi. Negli anni ’20 Ford lascia la Universal per la Fox, e comincia a firmare opere più mature quali Il cavallo d’acciaio (1924). Negli anni successivi girò decine di film (l’intero corpus fordiano è davvero sterminato, consta di più di 140 film). Di certo nella sua filmografia non mancano molte opere decisamente minori, ma, d’altro canto, egli ha dato vita a diversi capolavori e a un gran numero di ottimi film, non solo western.
Seppure il suo nome sia divenuto (a ragione) quasi un sinonimo di western classico, alcune delle sue prove più riuscite riguardano altri generi; è il caso dell’epopea proletaria e on the road ante-litteram di Furore (1940) o dello struggente Com’era verde la mia valle (1941). Egli, da cantore dell’americanità, non poteva non misurarsi con la figura di Abramo Lincoln, il padre della nazione a cui il bardo Ford dedica un’intensa ode nel biopic Alba di Gloria (1939). Durante la seconda guerra mondiale, nella quale perse un occhio, filmò gli avvenimenti bellici, regalando al pubblico un’appasionata e appassionante testimonianza nel documentario La battaglia delle Midway (1942).
Dopo aver girato negli anni ’50 e ’60 alcuni tra i suoi più celebri film, John Ford si ritirò a vita privata e, dopo qualche anno di inattività, morì di cancro nel 1973 a Palm Springs. Come detto, nonostante abbia frequentato anche altri generi, il nome di John Ford è indissolubilmente legato a quello del western. Egli ne è il fondatore, o meglio, a Ford si deve il salto di qualità fatto da questo genere cinematografico. Prima del Nostro, infatti, il western era considerato quasi unanimemente un genere per ragazzi, capace di produrre solo piccole opere commerciali o serie tv. Con John Ford, invece, il genere diventa sinonimo di grande cinema. Il primo capolavoro western è Ombre Rosse (1939); la poetica e l’estetica profuse in quest’opera saranno riproposte, approfondite e legate ad altri temi, nella successiva produzione western di Ford che annovera grandi titoli quali Sfida Infernale (1946), Il massacro di Fort Apache (1948), I cavalieri del Nord Ovest (1949), Cavalcarono insieme (1961).
Se Ford ha stabilito i canoni del western, quei tòpoi fondamentali che J. L. Leutriat e S. Liandrat-Guigues hanno definito «le carte del Western» (dal titolo del loro fondamentale saggio), è però riuscito ad andare oltre, contribuendo a sottoporre a un primo processo di sfaldamento quel mito che egli stesso aveva creato. Se John Ford è senza dubbio il padre del Western classico, d’altro canto film come il sublime Sentieri Selvaggi (1956) e L’uomo che uccise Liberty Valance (1962) inaugurano quel filone crepuscolare che verrà portato alle estreme conseguenze dai vari Sam Peckinpah, Sergio Leone, Clint Eastwood. Solo un gigante della settima arte come John Ford poteva essere capace di creare un mito fondativo e di prefigurarne la successiva distruzione.
Il film della settimana
Ombre Rosse (1939, regia di John Ford, con John Wayne, Claire Trevor, Andy Devine, John Carradine, Thomas Mitchell)
Il primo capolavoro fordiano rappresenta ancora oggi il testo fondamentale per comprendere il western. Pensiamo infatti ad alcuni aspetti caratterizzanti questo film, che sarebbero stati destinati a influire in maniera decisiva sull’intera storia successiva del genere. Innanzitutto Ombre Rosse segna il debutto di John Wayne, la stella western in assoluto. In secondo luogo la trama – ridotta all’osso – consiste nel viaggio di una diligenza che alla fine viene attaccata dagli indiani, ciò costituisce evidentemente un tòpos della narrazione western. Inoltre, i personaggi del film sono dei veri e propri tipi, delle figure destinate a essere ricorrenti in tutta la storia del genere, anche nei film più crepuscolari e anticlassici. In Ombre rosse troviamo, infatti, il bandito dall’animo nobile, il giocatore d’azzardo nonché temibile pistolero, la prostituta dal cuore d’oro, gli indiani, il medico ubriacone, la carovana, la sparatoria finale (anche se nel film in questione essa avviene fuori campo, ed è solo suggerita dagli spari, il che rende conto della straordinaria raffinatezza del Maestro).
Altro protagonista assoluto del film è il paesaggio, in particolare la Monument Valley, ribattezzata, non a caso, John Ford’s Point. Nell’immaginario collettivo questo scorcio di paesaggio americano viene ancora oggi associato al talento visivo del regista che dopo Ombre Rosse vi tornò a girare le scene di molti altri suoi film.
Per concludere, va detto che in Ombre Rosse il regista affronta la maggior parte dei nodi tematici propri del genere western: l’eroismo che scaturisce dagli ultimi, dai reietti, da coloro che hanno un passato torbido o criminale; il fondamentale contrasto tra Natura e Cultura (quest’ultima dicotomia costituisce il vero “seme” del western, la sua essenza più profonda); e ancora, l’ipocrisia e il perbenismo dilagante in società, che condanna inevitabilmente alcuni individui all’emarginazione; e infine, l’amicizia virile e il senso dell’onore che, nell’etica western, sono la vera regola di ogni rapporto tra uomo e uomo, finanche di quello, in apparenza impossibile, che si può instaurare tra un tutore della legge (lo sceriffo) e un criminale (il bandito).
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[…] a suo agio anche tra miti, leggende, film e cronache popolari come possono essere Alfred Hitckock, John Ford, Sergio Leone, Clint Eastwood, la zucca di Cenerentola, la favola dei Tre procellini, persino una […]