Si intitola Jeanne e Modì. Artisti a Parigi l’agile volume edito da Stampa Alternativa (acquista) e dedicato al percorso “osmotico” della coppia di artisti Amedeo Modigliani e Jeanne Hébuterne. Uscito in sordina lo scorso ottobre – ai margini dell’incessante ronzio sul centenario della scomparsa – il testo si pone come racconto mediato di un’unione totale, spesso viziata da pregiudizi e idolatrie ex post.
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In quest’ottica la curatela di Paolo Imperio è tanto discreta quanto precisa, giacché mette al centro il valore essenziale del documento, quel sigillo di realtà posto per tramite del montaggio. La sua voce, infatti, non è che elemento di raccordo fra materiali di vario tipo; le immagini d’archivio – così come gli articoli – si alternano infatti a momenti di narrazione, spesso tratti da scritti storico-artistici e comunque elaborati secondo un modello combinatorio, sovente volto alla ri-conferma del dato fattuale.
Modigliani fra verità e mito
Scopo dell’operazione – al netto di intenti celebrativi – è il disvelamento di verità opacizzate, contorte dall’uso del “mito” e dall’affermarsi della vulgata. Imperio, sempre misurato, non lesina staffilate al riguardo:
Di fronte alla crescita vertiginosa delle quotazioni di mercato delle opere di Modigliani, si moltiplicano articoli e biografie, mostre e vendite all’asta. Tutti hanno qualcosa da dire […]. Particolari insignificanti vengono ingigantiti fino a diventare i tratti distintivi di una personalità inesistente. Tra un fatto documentato e un altro, gli spazi vuoti del come del perché vengono riempiti – abbelliti o imbruttiti – da narrazioni del tutto prive di significato […].
È, a ben vedere, una tendenza del nostro tempo, che accomuna Modigliani a Pasolini, Che Guevara a John Lennon; tutto, in questa corsa all’oracolo, contribuisce a degradare la leggenda a icona, a farne una stampa da shopper per un pubblico aduso alle merci.
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«Jeanne e Modì. Artisti a Parigi», un lavoro di decostruzione
Il volume si pone dunque nel solco tracciato da Jeanne Modigliani, figlia del pittore e solerte “demolitrice” di tesi ardite. Nel suo Modigliani, senza leggenda (1958) c’è già la decostruzione dell’artista maudit, quell’etichetta fané affibbiatagli da André Salmon e tramandatasi in forza di un’aura romantica – la stessa che copre la fine delle esperienze intense.
Il lavoro in esame prende le mosse da quei risultati, attribuendo agli inserti valore diagnostico; ogni passo – siano ricordi di amici o citazioni en passant – traccia infatti il profilo di un artista dotto, appassionato, «bello e austero», da Margherita Sarfatti indicato come «creatore di bellezza», prescindendo «dalle strofe d’obbligo» sul disordine della sua vita.
Fuori dal brand
Il ritratto della studiosa – in apertura di testo – è già epitome della complessità modiglianesca, esplorata lungo un percorso a tappe fatto di aneddoti (memorabile l’incontro fra Dodo e Renoir) e ricordi commossi. Fulcro dell’argomentazione, ancora una volta, è il riconoscimento di un «giusto senso» da attribuire al pittore, la lenta e indifferibile dissoluzione dell’equivoco primario.
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Se è Modigliani a prestarsi al suo mito (involontariamente, s’intende – e lo mostra il ricordo di Severini), al critico spetta il compito di minarne le basi. Tutto, persino gli attacchi, contribuiscono ad alimentare l’industria Modì. Significative, in tal senso, le «recite cialtronesche» di un giornalista e di un mercante, improntate a un disprezzo già per sé “deificante”: «Schiuma della bohème cosmopolita, dei Baudelaire di contrabbando, dei Coleridge simulati […]»; «Visi forniti di lunghi colli […] Che voluttuosi granelli di pelle!»
I veri Jeanne e Modì
Imperio è bravo a inserire fra un brano e l’altro gli esiti delle sue ricerche, tanto fondamentali perché volti a fugare persistenti illazioni. Così è per la sepoltura di Jeanne Hépbuterne, secondo alcuni «inumata “furtivamente” e “lontana da Parigi” a causa dei più svariati pregiudizi», in realtà destinata al Cimitero di Bagneux per mere ragioni residenziali.
Quello del curatore è anche un tentativo di «rendere onore» alla coppia di artisti, riconosciuta come sposata nell’atto di morte di Modigliani e dunque libera – finalmente – dalle speculazioni su un more uxorio inviso alla madre di Jeanne. Ne emerge, nel complesso, un quadro emotivamente partecipato – filtrato, come si è detto, dallo sguardo-chiave di «testimoni del tempo»: la sola porta d’accesso ai veri Jeanne e Modì.
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