Oggi, 24 agosto 2021, il mondo della filosofia contemporanea piange la morte di uno dei suoi pensatori più originali e brillanti, nonché alunno di Jacques Derrida ma in costante dialogo con il pensiero di Martin Heidegger: il filosofo francese Jean-Luc Nancy.
Nato a Caudéran nel 1940, Nancy inizia ad emergere nel panorama filosofico, prima all’Università di Parigi, dove ottiene un dottorato di ricerca con Paul Ricoeur, e successivamente all’Università di Strasburgo dove inizia la sua collaborazione e amicizia con il filosofo Philippe Lacoue-Labarthe.
Uno dei suoi saggi più importanti è sicuramente La communauté desœvrée del 1992 (La comunità inoperosa, Cronopio 2003), un’opera che, secondo Roberto Esposito, ha contribuito a mutare radicalmente quello che era il concetto tradizionale di “comunità”. Infatti, Nancy, sulla scia del pensiero di Georges Bataille, rimette in discussione la questione della comunità decostruendone il suo concetto e liberandola sia dalle mistificazioni del fascismo e del comunismo, sia dalle derive individualistiche prodotte dai sistemi democratici. In particolar modo, egli sente l’esigenza di tornare a pensare l’”essere-in-comune” nella sua valenza ontologico-politica, partendo dall’idea che la comunità si realizza solo nel momento in cui una singolarità si apre ad un’altra singolarità giungendo, così, al limite dell’immanentismo e opponendosi a qualsiasi meccanismo di identificazione fusionale. Rispetto a Bataille, il quale si era fermato nella sua riflessione a decretare l’impossibilità della comunità, il filosofo ritiene che bisogna fare un passo avanti percorrendo fino in fondo la questione del con. È questo il punto fondamentale che darà, poi, luogo al confronto-scontro tra Nancy e Blanchot che, in risposta al primo, pubblica La comunità inconfessabile.
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In un’altra sua opera, Essere singolare plurale del 1996, troviamo un altro tema fondamentale della filosofia nancyniana: quello sopracitato della singolarità che deriva dalla decostruzione del concetto di assoluto. Inizialmente, per Nancy, non c’è mai solitudine, ma, tutt’al più, singolarità, cioè «l’esposizione di qualcuno a qualcun altro». Singolari sono tutti quegli elementi non più chiusi in sé stessi (come lo sono gli “in-dividui”), ma esposti gli uni agli altri, che hanno abbattuto le condizioni della logica dell’assoluto accettando invece quella della relazione: «un corpo, un viso, una voce, una morte, una scrittura – non già indivisibili, ma singolari».
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Ed è proprio alla riflessione sulla relazione tra i corpi, sulla loro ex-posizione e con-tatto, che Nancy dedicherà gran parte delle sue energie, tant’è che nell’opera Corpus (opera che insieme a quella de L’intruso risente maggiormente dell’operazione subita di trapianto di cuore), egli spiega la particolare relazione che si gioca tra le singolarità attraverso l’espressione che potremmo tradurre con “toccarsi” (“se toucher toi”). Attraverso questa espressione, Nancy intende far riferimento ad un sistema relazionale più vasto in grado di svelare nuovi orizzonti conoscitivi, orizzonti che non possono far a meno di tener conto che «gli esistenti sono anche corpi» e che la filosofia, ed è questa l’eredità più importante che Nancy ci lascia, non è mai mera speculazione ma praxis fortemente legata alla nostra esistenza corporea e a quella che è la domanda per eccellenza: «che cosa accade tra noi?».
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Con la morte di Jean-Luc Nancy un altro grande maestro della filosofia se ne va, lasciandoci tra le mani un’opera importante; nostro compito è farcene carico e dare concretezza a quell’idea di comunità che le sue pagine, come poche altre, hanno saputo dipingere.
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