La fotografia rappresenta un attimo e lo fissa eternamente in un’immagine; per quanto banale possa sembrare, questa sua caratterista perpetuativa si traduce in una serie di svariati usi e modalità che permettono un’analisi dei mutamenti e delle evoluzioni del mondo e delle cose. La fotografa Jacqueline Zilberberg sfrutta al meglio queste caratteristiche per compiere un attento studio delle trasformazioni dei corpi nella varie fasi della vita: giovani schiene nude si alternano alla pelle cadente di signore anziane in costume, rivelando un processo che non necessariamente si traduce in un deterioramento, quanto in uno sviluppo inevitabile e, per questo, da accettare.
Nella serie No Longer Here, but Still Not la Zilberberg indaga la più profonda essenza dei soggetti rappresentati, scava nelle insenature della loro pelle nuda, vaga fra le ossa sporgenti, i nei, i dettagli. Si impossessa delle intimità di giovani figure, comprende i cambiamenti adolescenziali, le scoperte, la sessualità appena manifestatasi in corpi non più bambini ma che ancora non si possono dire adulti. Permette alla gambe, ai fianchi, alle spalle che sta rappresentando di esprimersi autonomamente in contesti di tensione per mettere in scena gli ossimori tipici di quest’età: passione e pentimento, trepidazione e paura, seduzione ed innocenza. La sua fotografia nitida e pura, poi, adotta scale cromatiche legate a quello che vuole rappresentare: gamma calda per l’individualità, gamma fredda per la sfera sociale.
In Dead Sea fra i paesaggi desolati e sterrati del Mar Morto, in cui linee di strade asfaltate si incrociano con colline rocciose cui fa da sfondo un cielo piatto, compaiono i corpi sfatti di pingui anziane con la pelle cadente che disegna increspature sui ventri, a volte vicini a quelli più giovani e tonici di ragazzine: il divenire di una donna, in un consapevole accostamento in contrasto.
La serie Jerusalem, infine, si distacca dal tema dell’evoluzione e si concentra su Gerusalemme, di cui la fotografa riesce a cogliere la spiritualità che si configura come la caratteristica prima della città: evidenzia geometrie di palazzi, spalle di donne che pregano, i biglietti incastrati fra le fessure del Kotel.
Quella di Jacqueline Zilberberg è una fotografia chiara e limpida, in grado di rappresentare l’essenza di ciò che immortala con immagini semplici ma comunicative.