«Resta per l’Autore di questo libro l’oggetto di un amore continuamente dichiarato ma che egli sa di non poter realizzare, perché l’albero della letteratura mal sopporta i frutti fuori stagione» così dichiarò l’autore Italo Calvino nel 1957 in apertura del suo celebre romanzo Il Barone rampante. Con la pianificazione della celebre trilogia de I Nostri antenati, Italo Calvino si inserì a tutti gli effetti nel solco del romanzo storico e della sua complessa relazione con gli autori che lo avevano preceduto.
Calvino riteneva che il romanzo storico fosse il metodo migliore per parlare dei propri tempi; tuttavia il suo lavoro fu sempre guidato dalla grande domanda personale in merito all’attualità del romanzo storico nella società contemporanea. Questa questione fu sempre il centro della sua ricerca nella stesura, per evitare di scadere in anacronismi intenzionali, o addirittura in «caricature troppo facili».
Per trovare una risposta a questa questione, Italo Calvino si rifece alla lezione di un autore che lo aveva preceduto nel solco della tradizione del genere: Alessandro Manzoni. Il rapporto con questo scrittore è estremamente complesso e viscerale e mutò nel tempo. In un primo periodo, nel 1953 per un’inchiesta radiofonica della RAI (che non venne mai mandata in onda), Italo Calvino espresse un giudizio molto severo sull’autore lombardo: riteneva che fosse privo di gusto dell’avventura e un moralista sprovvisto di capacità di auto-introspezione. Si limitò a riconoscere i dovuti meriti linguistici per la sua capacità di costruire una lingua piena di arte e significato.