Sovente, a ragione, si va pensando che il nodo, la congiuntura, il punto d’incontro tra una qualsivoglia forma d’arte e la politica sia quasi inevitabile; l’urgenza dell’arte e dell’artista in termini puramente essenzialistici trova la medesima radice. Così l’inevitabile forma ordinante del caos del reale può essere una strutturante forma di anti-caos artistico o la strutturante forma di autoritarismo implicata, in fondo, in qualsiasi sembiante politico (e pure l’antipolitico peraltro). Inevitabile: aggettivo che implica dogmatismo, di chiaro stampo marxista. Inevitabile è l’aggettivo degli albori di Italo Calvino. Il giovane scrittore, da poco arruolato nella storia della letteratura italiana, la sede di Torino della Einaudi: quella dove l’ufficio più grande aveva al suo interno Cesare Pavese, intento spesso, secondo la Ginzburg, a mandare a memoria vecchie poesie in greco. Anche lui un antifascista, comunista quasi per prassi, piccolo borghese, dirà Pier Paolo Pasolini. Una casa editrice, la Einaudi, dichiaratamente antifascista: il posto giusto per il giovane Italo Calvino, comunista, ex-partigiano, convintamente antifascista. E la “congiuntura inevitabile” si palesa fin da subito, ma per forme diverse.
È il 1946, l’urgenza di raccontare è politica, lo si fa per le strade, nei treni, nelle metro, tra le macerie, in ospedale, dal macellaio, al bar, ovunque, anche sulla carta stampata. I toni sono dotati della gravitas dell’inevitabile, il passato: una storiografia che si fa romanzo neorealista. Ne I sentieri dei nidi di ragno Italo Calvino ha la stessa esigenza: ordinare il caos delle macerie, e dunque raccontare il passato ricostruendolo, ma partendo da un punto di vista alternativo, di un’aulicità più stemprata, gli occhi di un bambino e il mondo dei partigiani comunisti. Per farla breve, la morte e uno dei suoi significati, dunque: l’ordine del caos, il nuovo equilibrio e l’affermazione dell’inevitabile. Un mondo nuovo si apriva dall’esigenza di morire per esso, l’esistenza era così ordinata. L’ordine però rimaneva nella tensione polemica e quasi bellica dell’uno contro i molti, l’io contro l’altro e l’alterità. Per dirla con una formula di Cases: «da un lato c’è la solitudine nella distanza, dall’altro la comunità necessaria, ma disgustosamente vicina e infida» (Milanini, 1990, p. 30). La tensione è però costruttiva: alla fine il mondo si crea dal dolore della guerra con l’altro e cambia colore, diventa rosso, il progresso.
Quando però si crea un ordine poi è necessario interpretarlo, è inevitabile. Che cos’è ora l’inevitabile? Negli anni Cinquanta serviva ancora una metafora per ricostruire un ordine, inevitabile sì, ma sfuocato, deformato. E per capirlo va ulteriormente deformato, disteso, e poi riempito di una nuova forma semantica. Il ciclo de I nostri antenati è proprio questo: tentare di comprendere il nuovo ordine per non ricadere nel caos, e compiere l’inevitabile. Piccolo spoiler: l’inevitabile è una menzogna. Italo Calvino lo capisce nel 1956, dopo i terribili fatti di Budapest e l’indifferenza di Togliatti. L’inevitabile ad ogni costo, anche quello della libertà. Così Italo Calvino decide di salire sugli alberi, guardare e costruire il reale da un nuovo punto di vista, quasi baudelairiano, del poeta albatros. Straccia la tessera del partito …