Il 9 dicembre Netflix ha pubblicato la nuova commedia di Sidney Sibilia, interpretata da Elio Germano, alla sua ennesima, mirabile prova di dizione vernacolare e d’eclettismo attoriale. Di commedia all’italiana il film ha ben poco, frutto di un’originalità non facilmente catalogabile, attigua più a Wes Anderson che a Monicelli. Nonostante si mostri, in tutti i suoi marchi registici e narrativi, come una storia squisitamente italiana, la sua ispirazione non potrebbe essere più universale. L’incredibile storia de l’Isola delle Rose è una storia tanto surreale da non poter essere più vera. Elio Germano è l’ingegnere meccanico e inventore Giorgio Rosa, una mente brillante che incarna il paradosso dell’ex repubblichino insofferente agli schemi sociali.
Il dottor Rosa progetta e costruisce una piattaforma artificiale di quattrocento metri quadri nel Mar Adriatico, cinquecento metri oltre il confine delle acque territoriali italiane, tra la costa romagnola e il litorale pesarese, dichiarandone l’indipendenza il primo maggio 1968. La tensione di quegli anni eclissa del tutto l’evento, con l’opportunistico beneplacito della politica, che preferisce silenziare la questione, preoccupata di costituire un precedente potenzialmente rovinoso.
Riducendo ai minimi termini tremila anni di filosofia del diritto, gli elementi imprescindibili di cui deve disporre uno Stato per definirsi tale sono tre; molti di più, in realtà, ma tre sono gli organi fondamentali senza i quali l’organismo non può svilupparsi. Un territorio, un’area geografica ben definita da confini; un insieme di cittadini sui quali esercitare una sovranità, il popolo; ordinamenti politici e giuridici per regolare la vita di quei cittadini all’interno del dato territorio.
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L’Isola delle Rose, per quanto incredibile possa apparire, li possiede tutti, e non solo. Abbraccia l’esperanto come lingua ufficiale, si dota di un governo, con tanto di Presidenza del Consiglio dei Dipartimenti, stampa una propria valuta, emette francobolli ed istituisce un servizio postale che porta sulla piattaforma decine di richieste di cittadinanza. Ovviamente, l’Italia non riconosce la secessione e nessuno Stato al mondo si preoccupa della sua nascita. In giugno, la piattaforma viene occupata dalla polizia e la Marina vi oppone il blocco navale totale fino allo smantellamento, nel febbraio del ’69.
L’Isola delle Rose, per la sua peculiarità, è diventata l’oggetto di una certa solidarietà popolare, perlomeno per coloro che hanno avuto la fortuna di inciampare nella sua bizzarra storia, e molti di più saranno dopo il film. Ma non è certo la micronazione più fortunata. Né la più sfortunata.
Regni, marche, granducati e repubbliche: storia d’Italia, storie di micronazioni
La genesi del Regno d’Italia è frutto delle conglomerazioni e degli sfaldamenti dei minuscoli stati nobiliari che ne hanno disegnato la forma per molti secoli. Il concetto di micronazione, sebbene ancora inesplorato, non è per nulla nuovo alla storiografia italiana. Non occorre procedere molto a ritroso per incontrare il Regno di Tavolara, riconosciuto da Carlo Alberto nel 1836 dopo un approdo casuale, durante una battuta di pesca. Leggenda narra che, presentatosi ai residenti come re di Sardegna, qualcuno lo canzonò rispondendogli d’essere re di Tavolara. In segno di riconoscenza per l’ospitalità ricevuta nelle settimane successive, premiò i signori dell’isola con un riconoscimento d’indipendenza.
Non molti anni dopo, impugnando un atto perduto che attribuiva al comune di Seborga lo status di principato e sfruttando un vuoto giuridico, i cittadini del paese reclamano l’autonomia. Seborga non è ufficialmente inserita nel demanio del Regno di Sardegna. Da allora, eleggono un principe con incarichi formali, coniano moneta, il luigino, valevole come buono da spendere entro i confini comunali, il cui tasso di cambio è fissato a sei dollari statunitensi.
Pirati e pionieri del XXI secolo: Principati, Regni e universalistiche utopie libertarie
A largo del Devon sorge l’isola di Lundy. Nel milleduecento diviene luogo d’esilio di alcuni congiurati che ne fanno la base di alcune incursioni di pirati. Da allora, l’isola di Lundy è stata la spina nel fianco della corona britannica, riuscendo a forzare la concessione di un’indipendenza de facto per molti secoli. Gli ultimi proprietari, discendenti di corsari elevati a ranghi nobiliari, si dichiarano re di Lundy nella seconda metà degli anni Venti.
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Alcuni pirati dell’etere, molti anni dopo, occupano una delle piattaforme marittime antiaeree di Maunsell – ancora esistenti –, abbandonate dopo la seconda guerra mondiale alla foce del Tamigi. Paddy Roy Bates le occupa nel Natale del 1966 a seguito di alcune accuse rivolte alla sua Radio Essex. Occupate le torri Shivering Sands e Roughs Sands, diventa prima Sutch Radio, poi Radio City. Il principato con sovranità indipendente di Sealand sorge nel settembre del 1967, una vera monarchia costituzionale pura, con proprie valute e documenti. La compravendita dei suoi passaporti, che le autorità di Sealand disconosceranno come falsi, è chiamata in causa nelle indagini sul caso Cunanan. Nel sessantotto, il figlio di Bates viene rinviato a giudizio per un incidente mai districato in cui una fregata inglese spara alcuni colpi di mitragliatrice contro una delle torri o una boa in riparazione. Essendo accaduto fuori dalle acque territoriali, la magistratura inglese lascia decadere il procedimento. Dieci anni dopo, lo stesso Micheal Bates, figlio di Roy, durante l’assenza del padre, viene sequestrato dal primo ministro vicario di Sealand, e rilasciato parecchi giorni dopo sulla costa olandese.
Roy Bates è costretto ad ingaggiare dei mercenari ed affittare un elicottero Huey da combattimento per riconquistare la torre. Promulga un’ufficiale dichiarazione d’ostilità prendendo come modello le dichiarazioni di guerra dei conflitti mondiali, reclama i congiurati come prigionieri di guerra e li pone agli arresti sino all’ufficiale cessazione delle ostilità, quando vengono rimpatriati in Olanda.
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Su Max Weber, ovvero della responsabilità del politico
Achenbach, il professore tedesco che Bates aveva malauguratamente nominato facente funzione di primo ministro, viene processato, dichiarato colpevole di tradimento contro Sealand e incarcerato senza termini temporali. La Germania si trova costretta a inoltrare un’ufficiale richiesta di scarcerazione e intercessione diplomatica, cui si associa subito il Ministero degli Esteri dei Paesi Bassi. La Gran Bretagna declina ogni responsabilità. Il governo della Repubblica federale invia un diplomatico sull’isola per trattare la fine della prigionia illegale del connazionale, i negoziati procedono per qualche settimana prima che Bates ceda e disponga la liberazione.
Bates, in realtà, non ha ceduto. Ha tenuto il braccio di ferro per quella che altrove, in condizioni di normale civiltà, si potrebbe definire ragion di Stato: l’invio di un legato ufficiale rappresenta, malgrado le posizioni ufficiali, un riconoscimento effettivo del Principato di Sealand. Il professor Achenbach istituisce persino un governo in esilio in Germania, assumendo il titolo di Segretario generale del Concilio Privato. Alla fine degli anni Novanta accoglie i server di alcuni siti di dubbia natura, comparendo nelle indagini di svariate nazioni. Nei primi duemila offre un asilo sicuro al colosso Napster, da sempre flagellato da problemi legali. Nel 2007 Michael Bates tenta di vendere il Principato al sito The Pirate Bay per settantacinque milioni di euro, ma la vendita sfumata e la proprietà passata agli eredi di Roy, nonostante il reinserimento nei territori della Gran Bretagna.
La Repubblica di Minerva è esistita tra il gennaio e il settembre del 1972 nell’atollo di Minerva, a sud delle Fiji. Un miliardario di Las Vegas acquista alcune chiatte e mercantili per scaricare centinaia di tonnellate di sabbia e portare il livello dell’isola sopra quello del mare. Quel braccio non è mai stato rivendicato da alcuno Stato sovrano prima che alle ambasciate nel Pacifico giungano le richieste di riconoscimento delle Repubblica di Minerva. Sulla torre d’osservazione appena costruita – e unica opera architettonica del “paese” – viene issata la bandiera blu zaffiro con una sorta di fiaccola della libertà giallo oro. Australia, Nuova Zelanda, Tonga, Fiji, Nauru, Kiribati, ma anche i dipartimenti francesi d’oltremare in Polinesia e Nuova Caledonia, temono che ogni scoglio e banco di sabbia del Pacifico possa diventare luogo di raccolta di utopisti, esuli hippies, delinquenti e turisti e chissà quale altra minaccia.
Se la liquidità di un miliardario può costituire le fondamenta di una nazione, per quanto bizzarra, le ripercussioni potrebbero essere imprevedibili. Specie per le nazioni più deboli, piccole, sedicenti, ma anche per quelle più grandi, che raccolgono diverse identità etniche. Inoltre, quanto può crescere una nazione autoproclamata? Quanto passerà prima che una vero Stato trovi di qualche utilità il suo riconoscimento?
Gli Stati confinanti tengono una conferenza per stabilire una linea d’intervento, in cui Tonga riesce ad estromettere le Isole Cook, Nauru e le Fiji e reclamare l’atollo per sé. Due reggimenti dell’esercito di Tonga sopprimono l’indipendenza dello Stato più piccolo del mondo.
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Nel 2001, un abortito tentativo di autogestione libertaria è costato la vita di un civile e il ferimento e l’arresto di alcune decine nello Stato secessionista del Somaliland. Un’associazione di personaggi senza nome ha presentato un richiesta d’acquisto di una porzione di Somaliland – Stato autoproclamato secessionista dalla Somalia e privo di riconoscimenti internazionali – al sultano di Adal, nel 2001. Accettata quasi subito, l”annuncio della nascita del futuro Principato di Freedonia innesca un’ondata di proteste nella capitale Hargheisa.
Negli anni ’70, un gruppo di geografi e ricercatori accomunati da un pionieristico spirito di libertà, progetta la costruzione di un battello sul quale navigare verso l’Antartide. Lì, avrebbero calato le ancore in modo permanente e fondare la prima città-stato al polo, se non fosse affondato poco dopo il varo. È giunta invece a compimento la provocazione del Regno Gay e Lesbo delle Isole del Mar dei Coralli, nel 2004, in risposta al rifiuto del governo australiano di legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Un gruppo di attivisti LGBT è approdata sull’atollo più grande dell’arcipelago per piantarvi la bandiera arcobaleno. La cerimonia d’occupazione ha seguito le procedure di una vera conquista territoriale, senza però l’installazione di insediamenti permanenti. Si è dotata di un sito internet e ha stampato francobolli e monete per gli appassionati di numismatica. Con la legalizzazione delle unioni omosessuali nel 2017, il Regno si è ufficialmente sciolto.
Micronazioni, ludo-nazioni e ludocrazie
È indubbio che l’atto di proclamare una sovranità senza una reale spinta politica o etnica è in sé un atto prettamente provocatorio. Una decisione simbolica, costituita alla base da valide ragioni umane come essere l’estremo capriccio di qualcuno semplicemente in grado di farlo. O ludica, come sono definite quei micro-stati nati per burla.
Ne è un esempio la Repubblica di Frigolandia, partorita dalla mente di Andrea Pazienza e Vincenzo Sparanga e dichiarata nel comune di Giano d’Umbria per ospitare un museo del fumetto. L’Impero aericano, unica nazione a possedere uno smile sulla propria bandiera e unico a dichiarare di possedere una colonia su Marte, l’emisfero boreale di Plutune e persino un esopianeta immaginario; sulla Terra è una nazione scomposta, con circa un ettaro di territorio in Australia, un appartamento a Montreal che ospita l’Embassy of Everything Else e vari altri appezzamenti sparsi per i cinque continenti.
La lista è molto più nutrita degli esempi fornite dalle enciclopedie alla voce micronazione. Basti pensare che, nella storia di New York, è accaduto più di una volta che qualcuno dichiarasse Stato sovrano la propria abitazione, talvolta con tanto di valuta, documenti, vessillo e tutti i crismi dello Stato, causando anche lunghe diatribe legali. Nel 1860, un avventuriero francese emigrato in Cile si autoincoronò re di Araucania e Patagonia, rivendicando la sovranità di tutti i territori a sud del Biobìo, fin oltre la regione di Los Lagos, col mapudungun, lingua isolata degli amerindi mapuche. Orélie-Antoine de Tounens rimase sovrano della Patagonia fino alla massiccia operazione di conquista militare e occupazione cilena.
Eppure, non in tutti i casi si tratta di scherzi elevati a grandezze statuali.
Le immense eccezioni: Taiwan e Macao
Del resto, sono i medesimi presupposti che sostengono la silente prosperità di Macao e Taiwan. La prima, ex colonia portoghese a lungo formalmente indipendente nonostante il Portogallo possedesse una concessione d’affitto perpetuo che la rendeva l’ultima colonia europea in Asia fino al 1999, quando, solo sulla carta, è rientrata in seno alla Repubblica Popolare. Macao è la capitale asiatica del gioco d’azzardo, una Las Vegas orientale immune persino alle ferree leggi del paese che dal 1999 è tornata a esercitare la sua sovranità. Al contrario di Hong Kong, sulla sponda opposta del Fiume delle Perle, più volte vittima della mano pesante di Pechino durante le rivolte, nonostante goda di un sistema economico diverso da quello della Cina continentale. L’adozione di un sistema capitalistico non comporta per forza l’adozione di una democrazia libertaria.
Taiwan, la Repubblica di Cina fondata dall’esercito sconfitto del generale Chiang Kai-shek sulle ceneri di Formosa, non ha mai ottenuto il riconoscimento della Cina continentale o degli altri quattro membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, né dai membri del Commonwealth e dell’Unione Europea. Attualmente, solo quindici paesi possiedono relazioni ufficiali (Belize, Santa Sede, unica in Europa, Guatemala, Haiti, Honduras, Nauru, Isole Marshall, Guatemala, Nicaragua, Palau, Paraguay, Saint-Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Swaziland e Tuvalu) ma pressoché tutti e 208 gli Stati del mondo intrattengo relazioni commerciali e clientelari di ogni genere e natura. Proprio da Taipei sono giunti i primi auguri di buon insediamento ricevuti da Trump al momento dell’elezione.
Giacomo Cavaliere
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