Si piglia terribilmente sul serio, non sa raccontare, ma è una prosatrice d’arte di altissima qualità, ipnotica, incantatoria, e sotto tutti gli aspetti stupefacente
(Cesare Garboli, critico)
La perenne infanzia di Isabella
(Barbara Alberti, scrittrice, sceneggiatrice, giornalista e amica di I.S.)
Il nome (Isabella Santacroce) è l’unica cosa nota di questa scrittrice che scrive il libro autobiografico Io non so chi sono e mette all’asta le uniche dieci copie su Facebook, come fosse una questione di business.
Leggere La (seconda) Santacroce è come leggere se stessi in una casa disabitata che, però, una volta è stata La casa, sorseggiando un tè bianco. José Saramago a pagina diciannove del suo in Di questo mondo e degli altri parla a voce alta:
Nella vita di ciascuno di noi c’è sempre una Vecchia Casa. La mia non esiste più. Per oltre cent’anni, le sue quattro pareti cieche … hanno difeso dal freddo e dalla pioggia chi ci viveva. […] Tra le tegole si vedevano le stelle e il chiaro di luna passeggiava per casa tutta la notte, silenzioso come una pacifica anima dell’altro mondo che avesse conservato un buon ricordo di questo […] La casa dunque non esiste più.
Non c’è nulla di romantico, di dolce. Non ci si lasci ingannare dalla parola “stella” o “chiaro di luna” o dal termine “pacifica anima”: la casa non esiste più. E punge, fa male.
La scrittrice di Riccione esordisce con Fluo nel 1995 a cui seguiranno Destroy (1996) e Luminal (1998), una trilogia che descrive (moralisticamente parlando) di una turpe gioventù nella città marittima dell’Emilia Romagna: criticati aspramente dalla critica ufficiale e non, che li definirà «per chi di letteratura ha letto ben poco».
Ma se è vero che «the best is yet to come», nel 2007 ritenta, annunciando una seconda trilogia chiamata Desdemona Undicesima e il primo libro a uscire è V.M. 18 ovvero Vietato ai minori di 18 anni: l’atmosfera è gotica, la scrittura barocca e ampollosa.
Desdemona, Cassandra e Animone si muovono nel loro collegio nella lussuria, nella malizia e con una spietata ossessione esteta che passa attraverso qualcosa di più del profano: sfiora e oltrepassa il demoniaco. 491 pagine statiche. Quest’opera viene sottotitolata dalla stessa autrice come Inferno.
Si continua poi nel 2010 col secondo – il Paradiso: Lulù Delacroix, ambientato a Perfect City, appunto una città perfetta dove tutto è in totale armonia (mi raccomando: non chiamatelo ápeiron). Ci troviamo davanti ad una bambina, la cui descrizione è chiara – la copertina ne mostra l’interezza – e prolissa la totalità del libro.
Arriviamo all’ultimo, il Purgatorio – Amorino del 2012 e a mio parere il libro più bello mai scritto da Isabella Santacroce: Amorino vive e muore a Minster Lovell. Vive e muore ogni notte. A Minster Lovell si conta per Corali Liturgici. Annetta e Albertina, il dottor Thompson, Margaret, Padre Amos, Bernadine: esistono i contorni?
Isabella Santacroce è l’animale della Televisione: la sua prima comparsa fu con una maschera che le imprigionava il volto intero, lasciando libera solo la bocca, e le sue parole, spassionatamente parlando, non erano come il vento quando al mattino apri la finestra: erano ugualmente parole imprigionate. In una intervista sul web le viene chiesto quale sia stata la sua scuola di scrittura, e lei risponde:
Andavo a scuola con una valigetta nella quale tenevo un cerbiatto di peluche e qualche giocattolo, la appoggiavo sul banco e non facevo nulla, non parlavo, non chiedevo, guardavo i miei compagni di classe che chiacchieravano, ridevano, disegnavano, scarabocchiavano sui quaderni. Io niente. Immobile nel mio banco con un cappello di pelliccia in testa, in tutte le stagioni, con il caldo e con il freddo. Sull’ abbigliamento ero ostinatissima già a sei anni, non volevo vestirmi come le altre bambine e mia madre doveva lasciar fare. Fu suor Maria a svegliarmi dal mio incantesimo, a darmi coraggio, a indurmi a scrivere visto che ero troppo timida per parlare. Non so come avesse capito che sarei stata in grado di farlo, forse aveva soltanto pietà di me, così isolata e silenziosa. In un certo senso posso dire che è stata la mia prima editrice. Ha letto e fatto leggere nelle altre classi i miei temi, mi ha seguito, mi ha consigliato e procurato libri, per cinque anni ho vissuto sotto le ali di questa magica donna». Con suor Maria la bambina Isabella andava anche ai freschi d’ estate, in una casa di vacanze per monache sull’ Appennino, dove le era permesso suonare l’ organo della chiesa, fabbricare ostie con l’ apposito stampino, ma anche, in nome di qualche sua efferata sfida, indurre la povera suora a togliersi il velo per farle vedere i capelli tagliati. Dopo le elementari, finito il paradiso, perdute la guida e la protezione, le è toccato combattere da sola: le era, però, rimasta la scrittura.
La critica e i lettori si dividono. Pro, contro; c’è chi la definisce figlia della letteratura e chi si basa sul personaggio prima di tutto, definendola sciocca ed esaltata e criticando la sua scrittura come “noiosa”, “banalmente pornografica”…
Poi c’è una ragazza che scriverà su qualche social network che i libri di Isabella Santacroce sono come avere per tutto il pomeriggio il sapore dei gelsomini nel cervello e sulla bocca.
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