Se siete tra coloro che ritengono il vero Woody Allen deceduto da anni, lasciate stare. Se arrivati al cinema indugiate davanti alle locandine, avrete persino la fortuna di poter scegliere altri film di indiscussa qualità, tra cui, peraltro, l’ultimo Star Wars. Davvero, non ostinatevi ancora a trovare la linfa di Manhattan in ogni nuova pellicola alleniana: Irrational man vi deluderà, come hanno già fatto Vicky Cristina Barcelona, Midnight in Paris, Magic in the moonlight.
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Se invece avete accettato il giro di boa, l’idea che il tempo passa e persino le rocce subiscono l’erosione, pagate il biglietto, sedetevi e gustate quest’ora e mezza di narrazione niente male in cui, da un’idea banale, si dipana un intrico di strade che conducono dritte alle debolezze dell’esistenza.
Abe Lucas (Joacquin Phoenix) è un professore di filosofia ammantato da un’aura di dannazione e fascino intellettuale. È il classico uomo di cui tutti parlano, il nome che circola di bocca in bocca ancor prima di essere associato a un volto. Lucas prende servizio a Braylin, prestigiosa università del Rhode Island frequentata da studentesse in shorts e insegnanti in cerca di riscatto. Conosce Rita Richards (Parker Posey), moglie insoddisfatta di un pezzo grosso del campus, colei che conosce «chi scopa chi» e compra whisky doppio malto per sedurre il bel tenebroso dalla fiaschetta facile. Insegna, anche, disquisendo di Immanuel Kant e Søren Kierkegaard come un venditore di accessori cui hanno imposto di esaltare le qualità di un prodotto che presenta, comunque, un elemento difettoso da mettere in mostra. Abe Lucas affabula, ci sa fare, e i ragazzi lo temono come le donne lo amano.
Tra queste c’è Jill Pollard (Emma Stone) fresca signorina dai capelli rossi e le idee confuse che, idealizzando il professore che ha sofferto nella vita (Lucas, infatti, avrebbe perso un amico in Iraq a causa di una mina) relega il bravo fidanzato Roy (Jamie Blackley) a ragazzo-soprammobile e frequenta il tormentato bad man fino a perdere la testa per lui. Un’ubriacatura, quella di Jill Pollard, dato che Lucas è finissimo conoscitore del potere delle parole che, se unite a una certa dose di mistero, possono dar vita a un mix letale.
Il bel filosofo è però in piena crisi esistenziale, non riesce a dare un senso a quella vita che apparentemente significato non merita e, a letto, fa cilecca con Rita Richards. Tiene inoltre le distanze dalla Pollard, ancora più attirata da quel dannato ascendente erotico che circonda un uomo in pur evidente decadimento fisico (borse, stomaco e un leggero andamento arrancante), pronto a rischiare la propria esistenza in una roulette russa improvvisata da lui stesso. I due si frequentano, la ragazza gli si offre come un caffè pronto in tavola ma lui rifiuta, più per indolenza che per etica, convinto che la vita sia davvero solo quel maledetto pendolo oscillante tra la noia e il dolore.
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Finché, un giorno, i due captano una conversazione: una donna rischia di vedersi sottrarre i figli per un caso di mala giustizia difficile da arginare. Come in un’epifania rivelatoria, Lucas si abbevera alla fonte superomistica e inizia a progettare l’omicidio di quel giudice corrotto, erba da estirpare per rendere il mondo un posto migliore. Il delitto perfetto, un piano dostoevskijano da portare a termine nei minimi dettagli. Lo ucciderà, riconquistando la forza di muoversi nel mondo, di fare l’amore con Rita e con la sexy Jill, giustificando il tutto sulla base di pensieri razionali che altro non fanno che ergerlo a intellettuale narciso giustiziere dei mali.
Quel che segue è una serie a tratti sconnessa di indagini, riflessioni sul bene e il male e amare constatazioni della realtà dei fatti. Lucas è davvero quel grande pensatore che tutti credono? I suoi libri hanno sostanza o sono solo meri esercizi di stile sul bianco pagina? È davvero possibile programmare la propria razionalità o si finisce, al contrario, per diventare irrazionali? (E sì, l’Irrational man del titolo è proprio Abe).
Woody Allen surfa sull’onda di Crimini e misfatti e Match Point, riuscendo con un miracoloso gioco narrativo a farci entrare nel complesso mondo etico del protagonista. Odiamo Lucas, eppure ne siamo così calamitati da comprendere persino l’assurda logica che lo porta a giustificare un crimine assurdo (l’avvelenamento di uno sconosciuto nel parco, trovato riverso con un succo di cianuro in mano). Quando Jill scopre la copia di Delitto e Castigo con appuntato il nome del giudice e citazione en passant da La banalità del male (Hannah Arendt) siamo quasi tentati di commiserare Lucas, così imbevuto di teorie radicalizzate da aver superato ogni limite concesso allo scibile umano. In una sorta di thriller filosofico dai contorni sfumati, il regista riflette su morte e vita, coscienza e morale. Aiutato da un Joacquin Phoenix che davvero non sa cosa sia l’età, l’imprevedibile genio alleniano riesce a smussare persino gli angoli più acuti e meno riusciti di un film pacato, dialogato, reso impetuoso soltanto dal solito jazz che si fa accentuato nelle sequenze drammatiche.
E i simboli, ancora, hanno il loro peso. Come in Match Point la pallina che cade da una parte all’altra della rete determina la differenza tra talento e fortuna e l’anello che rimbalza al di qua del parapetto indirizza inspiegabilmente l’andamento del caos, sarà un altro oggetto qui, a determinare il corso degli eventi. In un ribaltamento assoluto delle sorti.
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Allen punta in alto, è chiaro, e forse ci riesce solo in parte. Sono certo lontani i tempi di Misterioso omicidio a Manhattan, ma il buono di Irrational man è davvero notevole, scortica la pelle e le granitiche certezze di un animo umano vittima, ancora una volta, delle sue assurde manie. Emma Stone è bravissima e in quanto nuova musa alleniana viene indagata in ogni particolare, venerata dalla camera come una statua in canottiera e hot pants. Comunica con gli occhi, emoziona col movimento delle mani. A volte troppo uguale a se stessa rischia di diventare l’eterna studentessa dal sorriso raggiante ma, non c’è dubbio, affiancata a Phoenix è di un talento disarmante. Da due attori così Woody non poteva che tirar fuori il meglio, alla faccia di cinéphiles pomposi e primi della classe.
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