Una vita che è un romanzo, una scrittrice scomparsa dalla scena mondiale dopo esservi entrata in punta di piedi, silenziosa come solo sa – e deve – essere una donna in un mondo di uomini. Francese, ucraina, in ogni caso ebrea, nata nel ghetto di Kiev quando l’antisemitismo più becero faceva dormire con un occhio aperto e i vestiti pronti sulla sedia di fianco al letto.
Irène Némirovsky sembra uscita immacolata dalle pagine dei suoi romanzi; forse perché tra autore e opera, in fondo, non c’è mai un divario così netto. Forse perché un’apparizione, come è stata la sua, ha bisogno di punti fermi e immagini visive per diventare tangibile.
Quel conflitto, mai sanato, con la figura della madre, è del resto la spia più evidente di un rimando non poi così implicito alla vita dell’autrice, succube per anni di decisioni e imposizioni. Una presenza, quella materna, talmente invadente da travalicare i confini dell’io spaziale, irrompendo tumultuosamente sulla pagina scritta che, per sua natura, resiste al tempo, fissando per sempre il disagio esistenziale di una figlia ferita. Non c’è redenzione per una madre che, nonostante tutto, conserva per anni i manoscritti di Iréne chiusi in cassaforte; non esiste trasposizione letteraria alcuna in grado di addolcire i tratti interiori di una donna che ha reso la vita della figlia un museo di anaffettività.
Da Jezabel a Il ballo, le fattezze di Fanny Némirovsky emergono senza filtri dalla penna leggiadra di una scrittrice capace di descrivere i sentimenti con finezza e perfezione. Le sue storie di vita si fondono con la storia che bussa alle porte, mentre la finzione letteraria si fonde e quasi confonde nella scrittura che incredibilmente sembra farsi da sé. La Némirovsky è in grado di scrutare dall’alto, imperturbabile, le banalità del vivere quotidiano, mettendo a nudo acriticamente la passività di certi individui, il cinismo di chi sa volgere tutto a proprio vantaggio, la cupidigia che sottostà al vortice degli eventi.
In un preciso momento storico – a cavallo tra le due guerre – in cui il modernismo si diletta a dar vita a tutti gli eccessi formali possibili, la penna della Némirovsky non persegue lo stupore, ma si limita anzi a mimetizzarsi, indagando nel buio i movimenti di personaggi tratteggiati con crudo realismo in ambienti fotografati in ogni minimo dettaglio. Le stanze scure illuminate dal lampo dei bombardamenti, l’orlo di una gonna accorciato di nascosto, gli inviti alla festa dispersi come coriandoli in un martedì grasso; è il singolo fotogramma a rendere la narrazione della Némirosky quasi cinematografica, come se lei stessa avesse piazzato una cinepresa nell’ombra per registrare ogni atto, azione o sospiro. Così è ne Il ballo, dove solo il tocco della pelle, gli sguardi e la staticità di un abbraccio sanciscono l’abisso incolmabile tra madre e figlia rivali di giovinezza.
Se è vero, come afferma la critica, che la scrittura di Irène Némirovsky rappresenta un ponte tra l’Ottocento di Tolstoj, Dostoevskij e Balzac e il Novecento delle sperimentazione, è altrettanto chiaro come essa, al pari di ogni grande autore, abbia saputo assimilare le lezioni del passato e del presente per poi trasporle in qualcosa che è solo suo. Ecco allora il realismo ottocentesco, la libertà formale del secolo successivo, ma anche il cinema, con il campo e controcampo, la luce da regolare, i primi piani e i campi sequenza. Mai si era vista una simile capacità di ritrarre i personaggi di spalle, così chiari al lettore da avere l’impressione di trovarseli dinnanzi.
La morte di Irène ad Auschwitz nel 1942 risucchierà tutto questo in un vortice di oblio, con il suo talento destinato a uscire dal cono d’ombra solo sessant’anni dopo, grazie all’azione di due splendide custodi di tesori letterari: Denise ed Elizabeth, le figlie. Nel 2004 la pubblicazione del romanzo inedito – e incompleto – Suite Francese ha dato il via a una clamorosa e fortunata riscoperta. In Italia la casa editrice Adelphi (seguita da Feltrinelli e Newton Compton) ha avviato la pubblicazione della sua opera, colma di testi che costituiscono a ben vedere un’intera sintesi del Novecento. Leggere per credere.
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[…] Irène Némirovsky: femme célèbre dimenticata e riscoperta – Una vita che è un romanzo, una scrittrice scomparsa dalla scena mondiale dopo esservi entrata in punta di piedi, silenziosa come solo sa – e deve – essere una donna in un mondo di uomini. Francese, ucraina, in ogni caso ebrea, nata nel ghetto di Kiev quando l’antisemitismo più becero faceva dormire con un occhio aperto e i vestiti pronti sulla sedia di fianco al letto. Irène Némirovsky sembra uscita immacolata dalle pagine dei suoi romanzi; forse perché tra autore e opera, in fondo, non c’è mai un divario così netto. Forse perché un’apparizione, come è stata la sua, ha bisogno di punti fermi e immagini visive per diventare tangibile. Leggi tutto […]