Prima le impronte digitali. Poi il flash della foto segnaletica che illumina la faccia. I dati su di sé e sulla propria famiglia pronunciati a voce bassa, la paura di sbagliare una sillaba, di essere fraintesi. In realtà, non si sa con precisione, nonostante le successive precisazioni, a cosa si riferisse Matteo Salvini, neo ministro dell’Interno, quando ha parlato di censimento dei rom. Eppure non risulta difficile associare alle sue parole delle immagini nitide. Questa facile associazione non è il frutto di una fervida immaginazione né la gigantografia di un sentore o di un candido buonismo, ma l’esito (purtroppo non inevitabile) di una coscienza storica.
Suggestioni, immagini che vengono da un tempo lontano, ma non troppo se pensiamo che si trattava della generazione dei nostri genitori (per alcuni) e nonni (per altri). Si tratta del lascito di un tempo in cui avere una determinata origine significava, oltre ad appartenere a un’etnia, anche far parte di una categoria mentale altrui che ti forgiava a immagine e somiglianza di un prototipo.
Vivere un’idea altrui, insomma, era alla base del pregiudizio che nel corso degli anni ‘30 e ‘40 ha portato alle discriminazioni più terribili della storia e ancora oggi sembra essere il supporto morale di idee politiche che suscitano un plauso generale preoccupante. Che si tratti di dimenticanza o ignoranza poco importa, il risultato non cambia.
I partigiani rom e sinti
Dei rom e sinti si può facilmente sottolineare gli abusi e le violazioni della legge. Si tratta di realtà a volte incontrovertibili. Tuttavia, nulla, nemmeno l’illegalità dei singoli, può giustificare il progetto di una schedatura su base etnica: una miccia che, se accesa, si trascina ardente fino alla polvere da sparo, detonando poi in un terribile scempio. Negli ultimi decenni, l’interesse a una profonda ricostruzione storica promosso da associazioni e circoli culturali, ha permesso di ricostruire in modo più dettagliato gli anni della resistenza e di dare maggior dignità a quelle figure dimenticate che, con la loro vita, hanno contribuito alla lotta al nazifascismo. È quasi universalmente ignorato che alcuni rom e sinti abbiano partecipato e spesso sacrificato la loro vita per gli ideali della resistenza.
Basta andare sul sito dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) per leggere i nomi di rom e sinti che hanno rivestito il grande ruolo di partigiani:
«Giuseppe “Tarzan” Catter, eroe partigiano sinto, ucciso dai fascisti nell’Imperiese, il suo distaccamento ne prese il nome, decorato al valore; Walter “Vampa” Catter, eroe partigiano sinto, Martire di Vicenza, fucilato l’11 novembre 1944; Lino “Ercole” Festini, eroe partigiano sinto, Martire di Vicenza, fucilato l’11 novembre 1944; Silvio Paina, eroe partigiano sinto, Martire di Vicenza, fucilato l’11 novembre 1944; Renato Mastini, eroe partigiano sinto, Martire di Vicenza, fucilato l’11 novembre 1944; Giacomo Sacco, partigiano sinto, partecipa alla liberazione di Genova; Giuseppe “Tzigari” Levakovich, partigiano sinto nella Brigata “Osoppo” in Friuli Venezia Giulia; Rubino Bonora, partigiano sinto nella Divisione “Nannetti” in Friuli Venezia Giulia; Amilcare “Corsaro” Debar, partigiano sinto, staffetta e poi partigiano combattente nella 48° Brigata Garibaldi “Dante Di Nanni”; Vittorio “Spatzo” Mayer, partigiano sinto in Val di Non; Mirko Levak, partigiano rom, scappato dal campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau si unisce ai partigiani; Fioravante Lucchesi, partigiano sinto nella Divisione Modena Armando; Battaglione “I Leoni di Breda Solini”, formato unicamente da sinti italiani, fuggiti dal campo di concentramento di Prignano sul Secchia (MO), operò nel mantovano» (fonte: anpi.it)
La lotta comune
Affascinati dagli ideali di libertà fatti propri dai partigiani, questi eroi si unirono a loro, definendoli nella loro lingua ciriklè (passeri) e parlando dei fascisti come Kas tangeri (quelli col manganello). Nella lotta, nelle speranze e nelle idee, presto non ci fu più differenza tra gli uni e gli altri, contribuendo tutti alla nascita del Paese democratico in cui oggi viviamo.
Una parola non è soltanto uno statico significato letterale: le parole portano con sé un ventre gonfio in cui vive il carico della propria storia. Sminuire questo bagaglio, questa gestazione perenne di venti, significa mettere a repentaglio il principio dell’evitabilità degli errori attraverso la coscienza umana (historia magistra vitae). Un principio che, come europei, abbiamo esportato nel mondo negli ultimi settant’anni, ma che rischiamo di perdere tra la folla di paure che ci sono imposte.
Questi partigiani dimenticati hanno contribuito a rendere il nostro un Paese civile, pregno di quella libertà che ha l’effetto collaterale di permettere che alcune parole possano essere ripetute: “censimento” è una di queste.