Un film sull’omosessualità femminile tutto italiano lo si aspettava da parecchio tempo. Non tanto per la “moda” del momento di film a tema LGBT (in uscita Freeheld; Carol; The Danish Girl e molti altri), ma per la necessità di far vedere al grande pubblico – soprattutto in un paese come il nostro – quanto sia in realtà normale un amore tra donne. Io e lei di Maria Sole Tognazzi, nelle sale dal 1 ottobre 2015, ci riesce alla perfezione.
Federica (Margherita Buy) e Marina (Sabrina Ferilli) convivono da cinque anni. Marina è un’ex-attrice sicura di sé e fiera della propria omosessualità; Federica è invece una donna fragile, separata e con un figlio. Con la sua nuova compagna ha scoperto un mondo tutto nuovo che però la rende insicura e spaesata. Pur amando Marina, fatica ad ammettere di avere un rapporto “fuori dagli schemi”. Le due sono una contrapposizione perfetta: la mora e la bionda, la donna delicata e quella aggressiva. Eppure, come in ogni storia d’amore che si rispetti, queste differenze non frenano il loro affetto, ma lo fortificano. Il film si sviluppa seguendo le discussioni tra le due e mostra – proprio come in una coppia etero – che l’amore può vincere qualsiasi insicurezza. Il lieto fine è sicuramente prevedibile, ma quel che conta non è solo la morale della favola, ma anche tutte quelle piccole scene che, durante tutto il film, propongono allo spettatore una coppia nella sua quotidianità, fatta anche di piccoli momenti sia di comicità che di monotonia.
Il film non è impegnato socialmente in modo diretto come molti altri sullo stesso tema. Non ci sono lotte per i diritti, discriminazioni o denunce sociali, come per esempio in Pride. Ci sono solo due donne che si amano e vivono la loro storia tra alti e bassi, perché forse il miglior modo per spiegare quanto una situazione sia normale è proprio mostrare che cosa accade durante la vita di tutti i giorni. Non vediamo quindi la trasgressione che ci si potrebbe aspettare da un film del genere: c’è solo un gatto coccolone, un divano e qualche serie TV.
La scelta di non proporre il lato erotico della relazione è molto efficace: pur essendo ben presente, viene nascosto dietro a scene tagliate e sguardi. Questo non è stato fatto per pudore, come si potrebbe pensare, ma per evidenziare un aspetto diverso che spesso si dimentica, quello romantico. In un mondo dove il sesso tra donne viene percepito come trasgressione, mostrare che oltre alla sessualità sono presenti sentimenti forti è più che mai necessario per far comprendere quanto una coppia al femminile sia in realtà tremendamente normale, dai piccoli litigi per gelosia alle incomprensioni caratteriali. Come ha spiegato Sabrina Ferilli: «Il sesso divide, quel che unisce è la complicità, l’affetto, la solidarietà, il calore di una vita comune. Non si può ridurre tutto alla sessualità».
Ciò che poi è rivoluzionario in questo film è la totale integrazione della coppia nel mondo che le circonda. Tutte conoscono il loro amore, dalla mamma di Marina al figlio di Federica, e nessuno sembra farne un problema. Una visione molto felice dei fatti – che in realtà non sono sempre così – che dà speranza per un futuro in cui dire “mia madre vive con una donna” non suonerà più così strano. L’unico personaggio vagamente omofobo nel film è proprio Federica. Federica che non hai mai pensato a una donna prima di incontrare Marina e «vincere un terno al lotto»; Federica che è stata sposata e ha avuto un figlio come nelle famiglie più tradizionali; Federica che quando deve rifiutare i suoi corteggiatori si limita a dire «sto con una persona». Io e lei mette quindi in scena le paure della donna, alimentate esclusivamente da se stessa. L’insegnamento probabilmente è che spesso siamo noi a sentirci diversi – e non gli altri ad additarci come tali. Accettarsi è quindi l’unico modo per vivere in pace con il mondo.
Sabrina Ferilli ha spiegato così il suo impegno in questo progetto: «Da 21 anni faccio questo mestiere e a modo mio ho sempre cercato di fare le mie battaglie a difesa di qualcosa, come la lotta per riconoscere i diritti delle coppie sterili. Il nostro è un paese che lascia per strada tutti, figurati le minoranze, però non possiamo sempre pensare che sia la politica a doversi occupare di tutto, anche noi cittadini dobbiamo impegnarci perché se questo governo laico e di sinistra non fa qualcosa per il riconoscimento delle coppie omosessuali o no, spero che lo facciano i cittadini con la loro partecipazione. Il nostro è sicuramente diverso da un film carnale come La vita di Adele, e qualche critico potrà anche giudicarlo troppo “in punta di piedi”, ma in un paese bigotto come il nostro Io e lei può essere importante perché è una storia che non fa paura, che accomuna invece che dividere».
Sebbene il film non possa quindi essere considerato politico, la frecciatina lanciata al pubblico italiano è ben chiara. Margherita Buy sottolinea proprio che: «Il nostro film non è una bandiera, ma aiuta a confrontarsi in un momento in cui la società italiana, così arretrata da questo punto di vista, si ritrova a discutere e a cercare di risolvere. È molto importante capire che è un grosso egoismo non essere consapevoli dei problemi di chi ha vite diverse da ciò che noi consideriamo normale». La regista definisce poi il suo lavoro come: «una commedia sentimentale, non certo un film di denuncia sebbene possieda un valore politico. Il messaggio che volevo arrivasse al pubblico è il fatto che non stiamo raccontando una storia diversa. E se tutte le storie d’amore sono uguali, tutte hanno gli stessi diritti».
Il film ha ricevuto anche alcune critiche – mancanza di struttura o di verosimiglianza e poco spessore nei personaggi secondari – ma affrontare un tema ancora oggi così delicato con un sorriso e tanta quotidianità è la strada giusta per sdoganarlo. Non amori passionali da film hollywoodiani o scene erotiche improbabili, ma la situazione reale di una coppia che convive, in cui molte persone – di qualsiasi orientamento sessuale – possono riconoscersi. Come il film ci mostra, tra amore omosessuale o eterosessuale non c’è davvero alcuna differenza.