Il 22 giugno scorso è stato rilasciato 4Fortys, il nuovo disco del cantautore di origini piemontesi ma milanese di adozione Alberto Fortis e, come si può capire già dal titolo, è pubblicato in occasione del quarantennale della sua carriera. Un doppio album in cui convivono, in maniera armonica, il passato dell’artista, la sua evoluzione ed il suo presente.
Il disco
La prima parte del lavoro contiene gli stessi 9 brani del primo album, che porta il suo stesso nome, uscito nel 1979, nello stesso ordine di allora, ma eseguiti in una formula pianoforte e voce, registrati live in studio di incisione con la presenza del pubblico. Non mancano La sedia di lillà e Il Duomo di notte, canzoni che hanno consacrato Alberto Fortis protagonista della musica italiana. In aggiunta, due bonus track: Settembre, una delle canzoni più famose pubblicata nel 1981, e Wish I Knew, composto con Steve Piccolo – lo stesso che scrisse Self Control di Raf.
Il secondo disco include tre inediti: Venezia, Maphya, Caro Giuseppe; tre grandi hit completamente rivisitate in chiave attuale, soprattutto per la ritmica: Milano e Vincenzo, La Neña del Salvador, Fragole Infinite. Completano il tutto tre canzoni eseguite con la Milandony Melody Band registrate dal vivo nei concerti di inizio tour: Qui la luna, Vivrai, Innamorata. Brani più lunghi, dal sound decisamente soul e R&B, con intro quasi improvvisate nei live.
L’intervista
Abbiamo incontrato Alberto Fortis alla presentazione dell’album a Genova al Concept Store Lux Giglio Bagnara lo scorso 12 luglio, e ci ha concesso l’onore di questa intervista.
Innanzitutto grazie per la sua disponibilità. Ha alle spalle 40 anni di carriera e ha ancora tanta voglia di fare musica. Da dove prende questa energia e l’entusiasmo per continuare?
Credo sia una questione di dna, perché è lo stesso dna che mi ha portato a scegliere di fare questo mestiere piuttosto che il medico, e che mi porta ogni volta a mettermi in gioco, a cambiare produzioni, città, sperimentare piattaforme di lavoro nuove. Il diritto/dovere dell’arte secondo me è quello di vedere cosa c’è dietro l’angolo. Detesto l’artista che si replica, a carta carbone, perché fa comodo per la classifica. Sì, certo, è comodo e bello. Ma è più forte di me fare quello che, in un determinato periodo, la Musa mi detta e mi suggerisce. E pur con una certa fatica, mi faccio i complimenti… (ride, ndr)
Questo nuovo doppio album è decisamente eterogeneo, viste le diverse modalità di registrazione e di stili di esecuzione. Come è stato concepito e come si è arrivati a questo risultato?
Prima di tutto c’era il 40ennale di carriera da celebrare in qualche modo e si è pensato alla ripubblicazione del primo album, senza intaccarne l’identità. Ma come? Un’edizione speciale, deluxe, un rimissaggio? Era da qualche anno che sia io che le persone che lavorano con me avevamo voglia di un album pianoforte e voce. Abbiamo quindi visto l’occasione ottimale per ripercorrere il primo album in questa formula ma registrata live studio, quindi con il pubblico.
In questo modo, pensavo di far capire meglio come nasce un brano, l’aspetto primordiale, nudo e crudo di una canzone, ma sempre con quello scatto, quella scintilla che nasce soltanto se c’è il pubblico di fronte. Questo mi ha dato anche la possibilità di introdurre le canzoni con un piccolo incipit, con una narrazione che spiegasse in qualche modo o la storia o il momento creativo della canzone stessa.
Per quanto riguarda il secondo cd, ci sono gli inediti e tutta la mia attualità, che è la cosa che naturalmente mi preme di più, ma ci sono anche i brani più conosciuti e rivisitati, vestiti con modernità e sonorità diversa – che poi è sempre una scommessa e uno stimolo che a me piace molto. Faccio un esempio: la canzone La Neña del Salvador è molto difficile da ritoccare ma secondo me è venuta splendida in questo album.
Per concludere, ci sono i tre brani con la meravigliosa Milandony Melody Band che spalancano le porte al puro live e testimoniano le prime date del tour. E non si fa mai, in genere si cerca di rodare il tour e arrivare dopo a registrare. Ho giocato d’azzardo, ho pensato che il Bravo Caffè, club storico di Bologna dove hanno suonato da Patty Smith a Lou Reed per arrivare agli artisti di oggi, fosse una dimensione molto adatta per catturare in qualche modo la sana agitazione dei primi concerti. E forse anche cogliere quella forza che tu metti particolarmente proprio quando cominci le cose, quando traduci questa tua grande emozione del primo impatto col palcoscenico.
In questa era digitale, con l’avvento della musica in streaming, come si sta trasformando il mondo della discografia e quale ruolo deve avere il cantautorato?
Oramai si è tutto trasformato. Quello del musicista è un lavoro serissimo, impegnativo e faticoso, ma oggi si vive nell’era dei talent show, con la chimera che in 7/8 mesi si arriva ad essere star. Ma sappiamo che poi in qualche modo c’è il risvolto della medaglia. I giovani non realizzano più un “album” ma un “insieme di singoli”, così è molto più facile per tante cose, perché tutto è più veloce, tutto è più di fretta, l’artista stesso ha meno tempo per sedimentare, per creare un suo mondo, il suo stile, ed arrivare all’album. Tutto si consuma velocemente, è questo che è cambiato. Infatti ci sono meno carriere che rimangono nel tempo e più artisti che hanno una vita molto breve. L’augurio è che non si sfoci, proprio per questi motivi, in una superficiale e gratuita volgarità. Io stesso sono provocatore, mi piace, l’ho fatto anche in questo ultimo lavoro. Ma il concetto triviale, la parolaccia, non deve diventare un gadget di moda. Quindi lo dico anche per chi compone: cercate di scrivere con obiettivi non comodi ma sostanziali e maturati.
«Anche se oggi tutto è cambiato, è cambiato il mondo, è cambiato il modo di ascoltare e di usufruire della musica, è cambiato il modo di farla, alla fine c’è sempre una stanza dei bottoni, una stanza delle decisioni maggiori che conta molto. Questo è l’appello che faccio a chi ha un po’ le redini di questa stanza: premiate davvero la convinzione e la dignità di questo lavoro perché l’arte sarà sempre e comunque una possibilità di rinascimento». Alberto Fortis
Alberto, lei è ambasciatore Unicef, testimonial di A.I.S.M. e di City Angels. Quanto è importante per un artista impegnarsi nel sociale?
È basilare e non va fatto per una questione di comodo, solo per l’esposizione mediatica ma perché lo si sente. Qua mi porto tutto il mio retaggio di studente di medicina che nasce in una famiglia di medici: vedo l’aspetto terapeutico dell’arte. L’amore per la popolazione nativa americana, la filosofia curatrice che c’è nei curanderos, tutto mi porta a definire l’arte: è percezione, sensorialità. Noi siamo come le piante che reagiscono ai suoni. L’arte nella storia è fondamentale. Questo è il rammarico di oggi, viviamo in tempi di oscurantismo con piccole città che stanno mandando un po’ di luce. Mi auguro che anche la gente si stanchi di certe cose e obblighi un po’ il meccanismo a sterzare verso la Bellezza con la ‘b’ maiuscola.
La Rivista Frammenti ringrazia l’Artista della disponibilità e Lorena Vigolo Angè per la collaborazione e le splendide foto a corredo dell’articolo.