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L’India va alle urne, ma questa volta è diverso

Per 44 giorni i cittadini dell'India saranno chiamati a esprimere il proprio voto nelle elezioni che determineranno il futuro assetto della democrazia indiana e, potenzialmente, dello scacchiere mondiale.

6 minuti di lettura

Per decenni l’India è stata considerata la più grande democrazia del mondo e se lo sia ancora è un aspetto di cui si è ampiamente dibattuto negli ultimi anni. In un mondo dove, in generale, il rispetto dei diritti civili e politici sembra costantemente fare dei passi indietro, e non solo in paesi che non fanno parte del blocco occidentale ma anche nel cuore dell’Europa stessa, tra il 19 aprile ed il 1 giugno si terranno nell’ex fiore all’occhiello della corona britannica le più grandi elezioni della sua storia.

Le elezioni in India in numeri

La posta in palio è data da chi siederà nella Camera bassa del Parlamento indiano, il Lok Sabha o Camera del popolo, la più potente delle due camere che compongono il Parlamento indiano. Le operazioni di voto dureranno in tutto ben 44 giorni, soprattutto a causa della mancanza di commissari elettorali necessari per garantire un corretto svolgimento delle procedure in contemporanea su tutto il paese, mentre ad essere chiamati alle urne saranno quasi un miliardo di persone (960 milioni per la precisione) in un paese dove la democrazia non avrebbe potuto, in teoria, mettere radici: troppo grande, diverso, povero e poco istruito per sopportare gli oneri di un processo tanto complesso quanto fragile. I partiti che si sfideranno, tra locali e nazionali, saranno diverse centinaia.

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Numeri difficili persino da immaginare e che restituiscono l’immagine di un paese immenso, la cui popolazione ha recentemente superato quella della vicina Cina ed il cui PIL continua a crescere a ritmi vertiginosi, tanto che entro il 2030 l’economia del subcontinente dovrebbe scalzare Germania e Giappone, diventando così la terza potenza economica globale dopo aver già superato durante il 2023 proprio il Regno Unito, l’ex potenza coloniale. Questo grazie ai passi importanti che sono stati fatti nella modernizzazione di una burocrazia ipertrofica e obsoleta, alla costruzione di una rete infrastrutturale in continua espansione, alla digitalizzazione. Tutti elementi che hanno contribuito ad incrementare il flusso di investimenti stranieri nel paese, attirando capitali e risorse di cui il paese ha bisogno per continuare a crescere. Proprio il flusso di capitali stranieri è quasi raddoppiato in dieci anni, toccando nel 2023 i 72 miliardi di dollari. Una cifra considerevole che, a differenza proprio degli ultimi sviluppi cinesi, è in crescita costante.  

Il pezzo forte della scacchiera

Tra i candidati che prenderanno parte alla competizione il vero favorito sarà però soltanto uno, il presidente uscente Narendra Modi e il suo Bharatiya Janata Party (BJP), il partito nazionalista indù che ha governato il paese ininterrottamente negli ultimi dieci anni e che si appresta ad aggiungere un terzo mandato. Un vantaggio che il BJP può godere è il progresso che al paese ha fatto registrare in quest’arco di tempo, ma anche grazie a un’opposizione debole, divisa e al progressivo indebolimento di alcuni dei meccanismi di salvaguardia propri di una democrazia che versa ormai in uno stato di salute precario. Secondo l’ultimo rapporto dell’istituto V-Dem, l’India è tra i dieci paesi che hanno subìto l’involuzione democratica più rapida negli ultimi vent’anni, diventando un’autocrazia elettorale”, un sistema nel quale libere elezioni convivono con strategie di repressione del dissenso e controllo del consenso che ne snaturano il carattere democratico. Secondo Freedom House invece, durante i governi Modi si sono registrati sempre più spesso casi di intimidazione e persecuzione dei giornalisti, nonché numerose violazioni dei diritti delle minoranze, soprattutto nei confronti di cittadini di fede musulmana e verso gli appartenenti alle caste più umili che compongono la piramide sociale indiana.

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Nonostante ciò, il BJP, alla testa dell’Alleanza Democratica Nazionale dovrebbe ottenere poco più della metà dei voti, garantendosi una solida maggioranza parlamentare. Molta della forza di cui il partito di maggioranza gode è dovuto alla popolarità di Narendra Modi tra la popolazione, che sfiora il 70%. Un valore altissimo se confrontato con quella dei principali leader occidentali che raggiungono una soglia approvazione spesso inferiore al 40%. Si tratta di un apprezzamento che si spiega non solo però con le buone performance economiche ma anche guardando a come il paese si è mosso negli ultimi anni sullo scacchiere internazionale. L’India ha saputo infatti destreggiarsi tra le molte difficoltà di una politica internazionale sempre più complessa con un equilibrio che ha radici antiche, che affondano per certi versi nel periodo della guerra fredda.

Questo perché tutti, in qualche modo, guardano al paese come ad un attore dalla rilevanza strategica su più fronti. Il paese rappresenta infatti uno dei cardini, insieme a Giappone ed Australia, su cui si fonda il contenimento cinese nell’Indo-Pacifico, mantiene stretti legami commerciali con l’Occidente e punta ad entrare in competizione proprio con l’altro gigante asiatico come hub manifatturiero mondiale. Accanto a ciò, l’India ha acquistato, tra il 1992 ed il 2021, il 65% degli armamenti dalla Russia, che dal 2022 ha quadruplicato le esportazioni proprio verso il subcontinente. Sempre sul fronte dei rapporti internazionali, il paese ha recentemente ospitato il G20 ed è uno dei partner più attivi dei BRICS, la non ben definita ed eterogenea alleanza di paesi accomunati da una più o meno vivace avversione nei confronti di una leadership occidentale, che mostra sempre più crepe di fronte alle turbolenze ed alle sfide di un periodo complesso.

Le sfide dell’India ai tempi del BJP

Se sul piano della crescita economica e della postura internazionale l’India ha dimostrato, soprattutto in prospettiva, di essere uno dei leader di domani, rimangono però ancora diversi fronti aperti sul piano interno. Il primo scoglio è rappresentato dalla povertà e dalla distribuzione del reddito e della ricchezza che negli ultimi anni ha investito il paese. Solo nel 2023 ben 93 nuovi miliardari si sono aggiunti alla lista dei super ricchi indiani, che risultano essere circa 270. Era uno soltanto nel 1991. Una crescita impressionante, che però coincide con alcuni studi che dimostrano come la disuguaglianza sia ora più marcata che durante la dominazione britannica e che mettono in guardia rispetto al fatto che il paese assomiglia più ad una plutocrazia che ad una democrazia. L’Oxford Poverty e Human Development Iniziative (2022) stima 230 milioni di poveri (97 milioni di bambini, il 90% nelle aree rurali). 11 milioni di disoccupati e solo 1 donna su 10 è regolarmente occupata ed in generale solo il 40% della popolazione in età lavorativa è occupata o in cerca di impiego. Dati che vanno comunque letti in un contesto nel quale la normalità resta tutt’ora un’occupazione di tipo informale, con tutti i limiti del caso. Da questo punto di vista si può affermare che il BJP ha promosso senza troppe remore politiche economiche a favore della crescita economica nella convinzione che la marea, come dice un vecchio adagio caro a molti, avrebbe contribuito a sollevare tutte le barche e non solo, parafrasando, quelle più grandi. Una strategia che ha funzionato, ma che rischia di presentare limiti importanti sul lungo periodo, come sta sperimentando forse proprio ora la vicina Cina.

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Quella della povertà e della disuguaglianza è una faglia cruciale e contribuirà in modo determinante nel disegnare l’India che sarà nei prossimi anni. Non sarà però l’unica linea di frizione: come anticipato, il governo di Narendra Modi ha inasprito, soprattutto negli ultimi anni, il conflitto religioso cavalcando un pericoloso nazionalismo indù e che rischia di sfuggire di mano al partito stesso. Gli scontri nella regione del Kashmir, per altro conteso con il vicino Pakistan e in parte con i cinesi, i linciaggi contro le minoranze cristiane e musulmane e la fortissima retorica nazionalista rischiano di diventare un problema serio per il governo stesso, di qualunque colore esso sia. Si tratta, molto spesso, di problematiche stratificate e radicate, sulle cui ceneri si è soffiato per molto tempo e che non scompariranno.

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Infine, a pesare sulle elezioni indiane saranno alcuni scandali giudiziari, alcuni esplosi con una sinistra puntualità e che hanno colpito soprattutto le opposizioni, a volte minandone in modo consistente la capacità di arrivare alla popolazione. Tra le inchieste più interessanti che sono emerse però ve ne è una che ha attirato l’attenzione più di altre e che vede il BJP al centro di un sistema corruttivo e clientelare che spiegherebbe come proprio il partito del presidente, tra le centinaia, sia stato in grado di raccogliere da solo oltre la metà dei finanziamenti privati. Finanziamenti frutto, nella maggior parte dei casi, di donazioni private la cui opacità è proprio al centro di una sentenza della Corte Suprema attesa da anni e che è arrivata solamente a febbraio. Accanto a ciò, un’altra inchiesta ha fatto luce sul trasformismo della politica indiana e su repentini cambi di casacca, con parlamentari di opposizione inspiegabilmente assolti da accusa più o meno fantasiose dopo che sono andati a rinfoltire le file della maggioranza in parlamento.

Le elezioni a cui si appresta a prendere parte la popolazione indiana saranno, quindi, solo in parte un esercizio di democrazia. I numeri di un paese forse davvero troppo grande, troppo diverso e ancora troppo povero sono però impressionanti e contribuiranno a definire e a dare forma a un pezzetto di mondo che contribuirà a segnare, forse, in parte anche il nostro futuro.  

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Michele Corti

Nato a Lecco nel 1996, studente di Scienze Politiche. Amo la montagna in ogni sua veste, il vento in faccia in bicicletta, la musica e provo a destreggiarmi nella politica internazionale, cosa fortunatamente più semplice rispetto a quella italiana."

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