Non deve essere stato facile, per il popolo tedesco, immaginare la vita dopo il crollo del regime nazista. È la seconda pesante sconfitta in guerra nel giro di appena ventisei anni. Le ferite della crisi degli anni Venti non si erano ancora rimarginate e già sanguinavano di nuovo, insieme alle coscienze. L’orrore della guerra e dell’Olocausto lasciavano nei tedeschi, all’indomani del secondo conflitto mondiale, un forte rimorso.
Un senso di colpa che Ingeborg Bachmann sente impossibile da lasciarsi alle spalle. Pertanto, per poter sopravvivere, insieme al suo amico compositore Hans Werner Henze, o meglio il suo «amante mancato», si trasferisce in Italia. Ed è qui che la parola icastica bachmanniana incontra la voce multipla di Maria Callas, il soprano per antonomasia, dando vita a «uno scandalo, una rivoluzione, un vero atto d’amore», come scrive la stessa Ingeborg Bachmann in relazione all’incontro tra musica e poesia nel suo saggio Musik und dichtung.
La voce del soprano greco entra nella vita della poetessa, lasciando un segno indelebile, tanto da divenire un correlativo, non oggettivo, bensì soggettivo, della Bachmann stessa. Ma andiamo con ordine.
Maria Callas
La figura di cantante-attore, trasfigurata in mito, ha senz’altro dei precedenti nella storia dello spettacolo (basti pensare a Gilbert Louis-Duprez, il primo tenore che emise il primo Do di petto, oppure alla famosissima Giuditta Pasta o a Maria Malibran). Ma che un interprete, legato alle risorse caduche e umili della carne più che alla dimensione sacra e durevole della scrittura, svestisse i suoi panni per ergersi a simbolo di una condizione umana universale, questo ancora non era successo.
A dimostrazione di ciò il soprano Rajna Kabaivanska in un’intervista disse:
Posso dirvi che la signora Callas ha rovinato tutti i soprani e li ha rovinati forse per tanti, tanti anni. Ha cominciato col rovinare i soprani leggeri con una voce drammatica. Ha rovinato i soprani drammatici facendo propria un’interpretazione tutta sua, così noi adesso siamo vittime della signora Callas. Io, per carità, non vorrei mettermi sul piano della rivalità perché siamo lontane, lontane: io sono una cantante, mentre la signora Callas è un’epoca dell’opera… un’epoca…
Parole ispirate, venute dal profondo, corrette da un vivo senso di smarrimento – ammesso con generosità e con la disciplinata invidia che ogni artista ha sempre verso l’altro artista – creavano qualcosa di speciale. Infatti, dalle stesse parole del soprano bulgaro, emerge un’interessante riflessione, poiché la cantante definisce tutte le sue colleghe delle «vittime della Callas», quando in realtà è la stessa Maria a essere vittima del suo genio artistico, del suo essere «quell’astro così completo» (così era solito definirla Franco Zeffirelli), del suo essere un’epoca dell’opera.
L’incontro tra Ingeborg Bachmann e Maria Callas
Gennaio 1956. Durante le prove de La Traviata, la voce di Maria Callas incontra per la prima volta l’anima di Ingeborg Bachmann, dando vita al momento epifanico callassiano. A tal proposito Bachmann scrive:
[…] durante le prove generali per La Traviata […], su un palco freddo e pieno di scricchiolii, in poche ore quindi, durante le quali deve essere comparso un arcobaleno sopra Milano bagnata dalla pioggia, perché proprio allora l’opera italiana stava risorgendo in maniera convincente, in quelle ore ha iniziato a vacillare la mia opinione nei confronti dell’opera in generale – temo che andasse dalla condiscendenza fino alla completa indifferenza – per poi trasformarsi in un interesse ossessivo per questa forma d’arte […][1].
[1] Hans Werner Henze, Reiselieder mit böhmischen Quintem; trad. it. Canti di viaggio. Una vita, a cura di Lidia Bramanti, Claudia Marinelli e Giuseppe Cospito, cit., p. 148.
In una Milano scura, umida e nebbiosa la voce della Callas risuona creando un arcobaleno, ossia un ponte nuovo che vede solo la poetessa austriaca e che le permette di riflettere sull’opera italiana come non aveva mai fatto. Così come la voce multipla del soprano greco aveva concesso a Gioacchino Rossini di sedersi a fianco dei grandi autori quali Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini, donando nuova vita alle eroine dell’opera lirica, allo stesso tempo consente a Ingeborg di avvicinarsi all’opera tanto da suscitare un interesse che col passare degli anni diventerà una piacevole ossessione.
Scrive Ingeborg:
Callas è stata – se ricordate la fiaba – l’usignolo naturale di questi anni, di questo secolo, e delle lacrime che ho pianto non devo per niente vergognarmi
Come ricorda Camilla Miglio ne La terra del morso, Maria Callas è un nome proprio che rimanda a un nome comune – entrambi stretti a comporre un’allegoria. Maria Callas rimanda all’usignolo, o meglio: Callas è essa stessa, senza mediazioni, l’animale: è l’usignolo. Possiede la forza di risvegliare, nella memoria del pubblico, diversi e profondi strati di passato. Il suo canto trasporta verso il basso; «attraverso i secoli» sentiamo altre antiche voci oltre alla sua:
all’improvviso si poteva avere un udito che passava attraverso i secoli. Era l’ultima favola […] Quando è vissuta, quando morirà?
Il morso di Maria Callas è dunque la sua performance sulla scena. Agire poeticamente e artisticamente, secondo Bachmann è costitutivo per l’Io-artista (come per la Callas sulla scena davanti al suo pubblico) e a un tempo creaturale (come per l’usignolo al cospetto dell’imperatore morente nella fiaba di Andersen).
Questo significa segnare un’epoca dell’opera, uscire fuori dal tempo storico per rimanere in eterno nella storia attraverso la propria voce e le parole di una poetessa che cristallizzano per sempre la fragilità di una Diva immortale, e che permettono alla Bachmann di recuperare la forza di scrivere, quando la bussola non segna più il Nord poetico. Ingeborg ascolta una voce in grado di provocare il Ruck – la scossa, lo scatto che innesca una diversa visione delle cose. La scossa provocata dall’ascolto di quella voce equivale, dal punto di vista degli effetti sull’ascoltatore (o ascoltatrice, scrittrice-poetessa, artista a sua volta), come afferma Camilla Miglio, «al morso della tarantola, o della vipera; oppure all’invasione lavica nelle vene e nelle arterie del corpo».
Alla più umile, alla più umana, alla più sofferente
Così i versi bachmanniani della lirica Alla più umile, alla più umana, alla più sofferente, divengono correlativo soggettivo della Bachmann stessa. La figura di Tosca-Maria Callas, «solo molti tempi più distante e a lei così vicina; solo morta da molto più tempo della poetessa stessa» è genitrice del ruck. Quella scossa vitale alla poetessa austriaca per poter continuare a scrivere.
Alla più umile, alla più umana, alla più sofferente
Mia sorella mi aiuterà ancora.
mia sorella non è lontana.
Solo molti tempi più distante e a me così vicina.
Solo morta da molto più tempo di me.
Le parlo da quasi mille giorni
e lei mi dice che verrà una fine
lasciami dormire, mai svegliarmi.
[…]
Quando è saltata dal ponte degli angeli
e lo aveva già perdonato, il suo grido
rimasto. O Scarpia, davanti a Dio.
Non ho mai potuto vedere il castello senza
sentire il grido e le tremende torture,
non soltanto di questo Mario.
Giustizia, anche per i nostri assassini.
[…]
Concludendo, agli occhi di Ingeborg Bachmann, così come quelli dei suoi grandi estimatori, Maria Callas non era la semplice cantante lirica, mossa dalla passione, ma quella che canta per poter sopravvivere. Maria Callas era un’animale da palcoscenico e quello che ha permesso alla Bachmann di legarsi così tanto al soprano e alle sue sorelle è stato senza dubbio l’aver riconosciuto in lei una creatura «dall’animo di cristallo». Sì fragile, ma sulla scena in grado di porsi sullo stesso piano del compositore e del direttore d’orchestra, dando così nuova vita a Violetta, Leonora, Tosca, Manon Lescaut. Queste eroine dell’opera lirica non vivono solo tramite la voce del soprano, bensì proprio attraverso il corpo di questo. Ciò aveva provocato il momento epifanico nell’animo della poetessa, che ascoltando la voce del soprano pianse più volte senza alcuna vergogna. Ed è proprio nel momento del bisogno, quando ormai la bussola smagnetizzata non segna più il «Nord poetico», che la Bachmann si aggrappa al sottile fil rouge che la lega alla cantante, riprende la penna e inizia a scrivere un concerto poetico, con protagoniste Callas e le sue sorelle, rendendole, così, immortali.
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