Un libro non andrebbe giudicato dalla copertina, e questo lo sappiamo. Non andrebbe nemmeno giudicato dalle primissime pagine: l’ideale sarebbe, prima di dare qualunque parere, essere arrivati all’ultima pagina. La letteratura, classica e non, è però ricca di incipit così belli da essere diventati iconici quanto i relativi romanzi, se non di più. Abbiamo raccolto in questo articolo i nostri preferiti.
«Se una notte d’inverno un viaggiatore» di Italo Calvino
Stai per cominciare a leggere Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. […] Prendi la posizione più comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato. Coricato sulla schiena, su un fianco, sulla pancia. In poltrona, sul divano, sulla sedia a dondolo, sulla sedia a sdraio, sul pouf. Sull’amaca, se hai un’amaca. Sul letto, naturalmente, o dentro il letto. Puoi anche metterti a testa in giù, in posizione yoga. Col libro capovolto, si capisce. Certo, la posizione ideale per leggere non si riesce a trovarla.
Tra i migliori incipit mai scritti si annovera quello di Italo Calvino, in Se una notte d’inverno un viaggiatore. Una lunga digressione metaletteraria accompagna l’introduzione di un romanzo che è complessivamente un ambizioso gioco di scrittura ricercata. Tra peripezie, incontri e disavventure, narra la ricerca del finale di un romanzo stranamente acquistato incompleto. Italo Calvino, letterato e letterante, accompagna amabilmente il lettore a seguire la trama del suo libro ricolmo di virtuosismi letterari.
Scelto da Giulia Lamponi
«Lolita» di Vladimir Nabokov
Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un breve viaggio di tre passi sul palato per andare a bussare, al terzo, contro i denti. Lo-li-ta. Era Lo, null’altro che Lo, al mattino, diritta nella sua statura di un metro e cinquantotto, con un calzino soltanto. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea punteggiata dei documenti. Ma nelle mie braccia fu sempre Lolita.
Un amore proibito, scottante, scandaloso. Proprio come il libro che contiene questo incipit: Lolita di Vladimir Nabokov. Un romanzo che, nonostante le polemiche, rimane ricco di poesia, erotismo e tristezza. Un capolavoro della letteratura classica che prima o poi dovrete affrontare. Quale momento migliore dell’estate?
Scelto da Azzurra Bergamo
«Cent’anni di solitudine» di Gabriel García Márquez
Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito.
Tra gli incipit più iconici di sempre sicuramente rientra quello di Cent’anni di solitudine dell’autore colombiano Gabriel García Márquez. Il romanzo non ha bisogno di presentazioni: opera fondamentale del realismo magico, narra delle sette generazioni della famiglia Buendía dalla fondazione della città immaginaria di Macondo da parte del capostipite José Arcadio fino al suo declino. Una grande saga familiare attraverso cui l’autore narra la storia della Colombia dalla sua fondazione nel 1830 alla depressione economica del 1930 mescolando realismo e fantasia dell’immaginario latinoamericano.
Scelto da Alberto Paolo Palumbo
«Il giovane Holden» di J.D. Salinger
Se davvero volete sentirne parlare, la prima cosa che vorrete sapere sarà dove sono nato, e che schifo di infanzia ho avuto, e cosa facevano e non facevano i miei genitori prima che nascessi, e altre stronzate alla David Copperfield, ma a me non va di entrare nei dettagli, se proprio volete la verità. Primo, è roba che m’annoia, e secondo ai miei verrebbero un paio di ictus a testa, se andassi in giro a raccontare i fatti loro. Su certe cose sono permalosissimi, specie mio padre. Simpatici, per carità, ma anche parecchio permalosi. E poi non mi metto certo a farvi la mia stupida autobiografia o non so cosa. Vi racconterò giusto la roba da matti che mi è capitata sotto Natale, prima di ritrovarmi così a pezzi che poi sono dovuto venire qui a stare un po’ tranquillo.
Il giovane Holden di J.D. Salinger, tra le maggiori opere della letteratura americana del secondo Novecento, è un romanzo irriverente fin dalle prime righe. L’incipit, a dir poco dissacrante, cattura il lettore e gli presenta subito Holden Caulfield, il suo linguaggio senza filtri e la sua insofferenza adolescenziale nei confronti di tutto e tutti.
Scelto da Francesca Cerutti
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«Il processo» di Franz Kafka
Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché, senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato. La cuoca della signora Grubach, la sua affittacamere, che ogni giorno verso le otto gli portava la colazione, quella volta non venne. Non era mai successo prima. K. aspettò ancora un poco, guardò dal suo cuscino la vecchia che abitava di fronte e lo stava osservando con una curiosità del tutto insolita per lei, ma poi, stupito e affamato insieme, suonò il campanello. Subito bussarono, e un uomo, che K. non aveva mai visto prima in quella casa, entrò.
Il quinto incipit appartiene a Il processo, romanzo incompiuto di Franz Kafka. Esso racconta la storia surreale del bancario praghese Josef K., che viene accusato, arrestato e processato per motivi a lui sconosciuti. Il protagonista cercherà strenuamente, per tutta la durata del racconto, di combattere la macchina processuale, irrazionale e ineluttabile, e la propria assoluta incapacità di comprensione degli eventi.
Scelto da Federica Funaro
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«La scopa del sistema» di David Foster Wallace
Molte ragazze davvero belle hanno dei piedi davvero brutti, e Mindy Metalman non fa eccezione, pensa Lenore, all’improvviso. Sono piatti e lunghi, con le dita strombate e i mignoli afflitti da bottoni di una callosità giallognola che riappare a mo’ di battiscopa lungo i calcagni, e sul dosso dei piedi sbucano peluzzi neri arricciati, e lo smalto rosso è screpolato e si scrosta a boccoli per quant’è vecchio, mostrando qua e là striature bianchicce. Lenore se ne accorge solo perché Mindy si è chinata in avanti sulla sedia accanto al minifrigo per staccare dalle unghie dei piedi appunto un paio di fiocchi di smalto; i lembi dell’accappatoio si dischiudono su un generoso scorcio di scollatura, decisamente più sostanziosa di quella di Lenore, e lo spesso asciugamano bianco che cinge la chioma zuppa e shampizzata di Mindy si è allentato e una ciocca di capelli scuri è sgusciata tra le pieghe e scende leggiadra incorniciandole la guancia fin sul mento. Nella stanza c’è odore di shampoo Flex, ma anche di canne, poiché Clarice e Sue Shaw si stanno facendo uno spino bello grosso che Lenore ha ricevuto in dono da Ed Creamer alla Shaker School e ha portato qui al college insieme ad altra roba per Clarice.
E come ultimo incipit abbiamo quello di La scopa del sistema. É il primo romanzo di David Foster Wallace, che scrisse appena compiuti i suoi ventiquattro anni. Il romanzo è di un’audacia straordinaria, e altrettanto straordinaria è la prosa, che si può godere in italiano nella bellissima traduzione einaudiana di Perroni. Difficile dire quale sia il centro della trama: un’anziana signora studiosa di Wittgenstein scomparsa dalla casa di riposo; sua nipote, l’intelligente Lenore, che lavora come centralinista ed è piena di problemi; il fratello di lei, monco di una gamba ma genio precoce; Rick Vigorous, pseudo-fidanzato di Lenore, che presenzia stabilmente insieme a lei dallo psicoterapeuta. Sicuramente il romanzo più adatto per iniziare con Foster Wallace.
Scelto da Giovanni Fava
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