Quando nel 2019 Greta Thumberg al World Economic Forum di Davos esclamava allarmata “Our house is on fire!” (“La nostra casa sta bruciando”) molte persone probabilmente non si rendevano ancora conto di quanto letterale fosse il significato da attribuire a quella frase. Due anni dopo, con l’arrivo di settembre, l’estate più infiammata da almeno un decennio a questa parte si conclude, si spera, con una maggiore consapevolezza da parte della popolazione globale. Il mondo va in fiamme sul serio, dalla Siberia alla California, dal Canada all’Italia.
Un mondo in fiamme: il caso italiano
La situazione è tragica in primis nel nostro giardino di casa: il territorio italiano è composto per un 38% da boschi, una grande quantità di questi sono andati in fiamme i mesi scorsi. Un report di Coldiretti pubblicato a metà agosto stima un aumento del 256% dei roghi nel paese.
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La devastazione ha interessato quasi tutte le regioni meridionali italiane: per prima la Sardegna, dove le fiamme sono divampate inizialmente nella provincia di Oristano per poi estendersi verso Cagliari e Nuoro, provocando almeno 1500 sfollati e la distruzione di 20.000 ettari di terreno. Poi è toccato alla Sicilia, le nubi nere e tossiche che sormontavano il cielo normalmente blu intenso di Piana degli Albanesi, nel palermitano, erano visibili e sono state fotografate dai satelliti spaziali della NASA. Il battesimo di fuoco ha purtroppo interessato anche le altre città siciliane, tra cui Agrigento, Enna, Messina, Siracusa, Catania… Non è andata molto meglio in Puglia, in Molise, in Calabria e nelle Marche.
Le responsabilità di queste tragedie, soprattutto per quanto riguarda alcune regioni del nostro paese come Campania, Sicilia e Calabria, vengono attribuite in primis alla follia dei piromani. Determinanti come moventi delle azioni di questi delinquenti sono gli interessi illeciti legati a doppio filo con le attività della criminalità organizzata. La piaga degli incendi dolosi appiccati per un tornaconto criminale non è però una novità del 2021. Il rapporto Ecomafia 2021 di Legambiente restituisce il quadro del 2020, l’anno scorso, con i seguenti dati: 4.233 i reati accertati (+8,1% rispetto al 2019), 552 le persone denunciate per incendio doloso e colposo (+25,2% rispetto al 2019), 18 quelle arrestate (+80% rispetto al 2019).
Nonostante la responsabilità penale dei piromani che accendono il fiammifero, l’enorme estensione dei danni poi provocati, che sempre Coldiretti sostiene ammontino ad almeno un miliardo di euro per quanto riguarda l’Italia, si inserisce in un contesto più complesso, che oltrepassa i nostri confini nazionali: quello del riscaldamento globale.
Il cambiamento climatico, insieme al conseguente aumento della temperatura media mondiale e della dirompente siccità, crea le condizioni per una diffusione estremamente amplificata delle fiamme, peggiorando radicalmente le conseguenze degli incendi.
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Siberia: l’incendio più grande della storia dove non ce lo saremmo aspettati
Oltre all’allarmante aggravarsi della situazione nei territori in cui comunque gli incendi non sono una novità di questi anni, i mesi scorsi abbiamo dovuto vedere altre raffigurazioni shockanti. Un sentimento di assurdità compare negli occhi degli spettatori dei telegiornali e dei lettori dei quotidiani, che vedono foto di fiamme divampanti in luoghi del mondo che nel loro immaginario comune sono sempre gelidi e umidi, costellati di igloo e di laghetti ghiacciati. Eppure nell’estate 2021 i peggiori incendi a livello globale sono stati in Canada, in Alaska e persino, soprattutto, in Siberia.
Greenpeace Russia sostiene che l’incendio nella regione siberiana Jacuzia sia stato maggiore per estensione della somma di tutti gli altri presenti nel pianeta in quello stesso momento, che abbia interessato 1.5 milioni di ettari di terreno e che possa essere classificato come tra i più grandi mai documentati nella storia del pianeta. Il fumo prodotto da questi roghi ha raggiunto per la prima volta nella storia il Polo Nord. Insomma, in un luogo come la Siberia, in cui nelle stagioni fredde degli anni più gelidi sono state toccate temperature di -65°C, ora durante la stagione calda sono arrivati picchi di +38°C, mentre la pioggia si fa sempre più desiderare.
La sfida più grande della nostra epoca
A rincarare la dose c’è la constatazione che il nesso incendi-riscaldamento globale è un circolo vizioso: non solo il cambiamento climatico favorisce il divampare delle fiamme, ma quelle fiamme stesse producono l’emissione di una mole di CO2 e gas tossici che non fanno altro che peggiorare drammaticamente le prospettive di ulteriori aumenti di temperature. Repubblica ad inizio agosto riportava un numero che definire “preoccupante” è un eufemismo: 1.5 miliardi di tonnellate di CO2 emesse nell’atmosfera solo a causa degli incendi nel 2021 registrati fino a quel momento.
Alla luce dei fatti, dei dati e delle immagini raccapriccianti che sono ormai all’ordine del giorno, si può solo dire che è giunto il momento dell’allarme, ma soprattutto dell’impegno concreto. A dire il vero è giunto da tempo e la comunità internazionale colpevolmente l’ha ignorato, oppure l’ha riconosciuto senza mettere seriamente in atto politiche e piani che rispondano al carattere emergenziale della situazione.
Ad oggi, gli obiettivi per il 2030 sanciti dalla Commissione Europea contano una riduzione di almeno il 40% (rispetto ai livelli del 1990) delle emissioni di gas serra, una quota almeno del 32% di energia rinnovabile e un miglioramento almeno del 32.5% dell’efficienza energetica.
Basterà questo? Sicuramente no. Le fiamme di questi mesi sono solo un assaggio dell’inferno che ci aspetta nei prossimi decenni, se non ci sbrighiamo ad affrontare la più grande sfida della nostra epoca.
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