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carpe diem

In quarantena con filosofia: sul valore del tempo | òbolo /1

Il tempo e come impiegarlo. Anche questa volta il mondo antico ci offre le sue perle di saggezza su cui riflettere.

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La locuzione latina carpe diem, proveniente da una famosa poesia di Orazio, ce la siamo sentita dire tutti, almeno una volta, nella vita. Sotto forma di rimprovero, ragguaglio, monito, il carpe diem ci dovrebbe ricordare che ciò che conta del nostro tempo è l’adesso, senza ansie rivolte al futuro, né remore per il passato. Ciò è vero, ma solo parzialmente.

Perché carpe diem, traducibile con «afferra il giorno», laddove il verbo carpo in latino, lo si usa per quei gesti, quelle azioni, come lo staccare i petali da un fiore, che si risolvono nell’istante, ma contengono in sé un prolungamento rivolto al futuro, carpe diem insiste su una verità ben più profonda che l’estetico godimento del presente.

Se guardato da una prospettiva differente, infatti, carpe diem significa: sii consapevole che il valore del tempo dipende dall’uso che ne fai. Non è solo saper cogliere, afferrare il giorno, non è solo vivere ora, nell’adesso, ma come cogliere il giorno, come vivere ora, ossia ricordarci che è solo il buon uso che facciamo del tempo a permetterci di coglierlo.

Immaginate questa situazione. Vi si presenta sotto gli occhi il vostro cibo preferito, mettiamo, un piatto di spaghetti, il miglior piatto di spaghetti della storia dei piatti di spaghetti. Che fare? È chiaro che vada mangiato, ossia ne si debba godere. Ma c’è modo e modo per farlo. Possiamo divorarlo tutto d’un fiato, sentendone al limite il sapore, oppure centellinarlo, lasciando tuttavia che si raffreddi perché preoccupati di esaurire troppo in fretta il dolce orgasmo gustativo.

Ora, immaginate, come suggeriva Seneca, ciò che più di prezioso avete a vostra disposizione, mille volte più prezioso del piatto di spaghetti, e che questa cosa si chiami tempo, e che, purtroppo, ma è così, questa cosa finirà, e che voi, alla fine, come con gli spaghetti, potrete solo rimpiangere di non averne fatto buon uso. Si chiude, in questo modo, il cerchio. Per cogliere l’attimo, per vivere ora, dovete avere, diciamo così, le istruzioni giuste per farlo, dovete essere attrezzati ad un buon uso del tempo e di voi stessi.

Ecco, dunque, cosa ci resta del carpe diem in questi giorni di forzato isolamento: impariamo cosa dà valore al nostro tempo e come utilizzarlo, ritorniamo cioè a noi stessi, liberiamoci dai falsi impegni (tanto, non ce ne sono), per capire dove e come impiegarci, dove e come far un buon uso del tempo che abbiamo. Solo così non ci lasceremo sfuggire tra le dita, come i petali del fiore, quelli dell’esistenza.


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Giovanni Fava

25 anni; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.