Alla fine è accaduto quello che qualcuno di noi temeva, che qualcun altro aveva messo in conto, che qualcun altro ancora forse auspicava: a quasi tre mesi dalle elezioni politiche dello scorso 4 marzo, siamo di nuovo punto a capo. Il problema a monte è sempre lo stesso, l’attuale legge elettorale che non ha permesso la formazione di una maggioranza di governo. Sembrava che i recenti accordi tra Matteo Salvini, leader della Lega, e Luigi Di Maio, candidato presidente del Movimento 5 Stelle, potessero portare alla formazione di un nuovo governo, invece no.
Il mancato «governo del cambiamento»
Ciò che ha portato al fallimento di questo nuovo governo, il cosiddetto «governo del cambiamento», è stato il veto posto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al nome dell’economista Paolo Savona come ministro dell’economia. Tale presa di posizione nasce essenzialmente dalle posizioni antieuropeiste di Savona, che in passato aveva parlato della possibilità per l’Italia di abbandonare l’euro. Temendo che i mercati ne risentissero – e di conseguenza le finanze dei risparmiatori italiani, di qualunque orientamento politico –, Mattarella ha chiesto che venisse indicato un nome diverso. Lega e M5S si sono rifiutati e così quello che doveva essere il nuovo Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha rimesso ieri sera il mandato a Mattarella.
Il nuovo Presidente del Consiglio incaricato è Carlo Cottarelli, già commissario alla revisione della spesa pubblica durante il governo Letta. Stasera, o più probabilmente domani, salirà al Colle per consegnare a Mattarella una nuova lista di ministri. Si prospetta un governo provvisorio, che servirà semplicemente a traghettare l’Italia verso nuove elezioni politiche, che avranno luogo o nell’autunno 2018 o nell’inverno 2019.
Se Mattarella spacca l’Italia
A prescindere da quella che sarà la squadra di governo presentata da Cottarelli (o, più in generale, da quello che sarà il futuro dell’Italia nei prossimi mesi), il Paese appare ormai fortemente spaccato. La tensione è salita nelle ultime ore su tutti i social network, ormai indicatori dell’opinione pubblica: qualcuno simpatizza con Mattarella, dicendo che ha semplicemente fatto il suo dovere, qualcun altro grida allo scandalo, arrivando a parlare di dittatura.
Prima ancora di capire se quanto è accaduto è stato giusto o sbagliato, è bene interrogarsi sulla sua liceità. Si può avere qualsiasi opinione personale sulla decisione presa da Mattarella, ma bisogna avere ben chiaro un dato di fatto: il Presidente della Repubblica non ha prevaricato nessuno. L’articolo 92 della Costituzione della Repubblica Italiana, infatti, afferma che «il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri». Si legge molto chiaramente che il Presidente del Consiglio si limita a proporre una squadra di ministri, ma che l’ultima parola spetta al Presidente della Repubblica.
Tra impeachment e hate speech
Bisognerebbe spiegarlo a tutti coloro che in queste ore stanno invocando l’impeachment per Mattarella. Si può avere l’idea che si vuole sulle motivazioni che hanno spinto il Presidente a mettere il veto al nome di Savona. L’unico punto su cui bisognerebbe essere tutti d’accordo è che è ridicolo parlare di impeachment, visto che Mattarella ha agito esattamente nei limiti della Costituzione. Particolarmente grave è il fatto che non parlino di impeachment solo persone comuni, che potrebbero non conoscere bene quanto afferma la Costituzione (anche se, oggi che grazie al web si possono avere facilmente informazioni su qualunque argomento, nemmeno questa è più una scusa accettabile), ma anche esponenti di partiti politici, che al contrario dovrebbero sapere alla perfezione quali sono i poteri del Presidente della Repubblica.
Altrettanto grave è l’ondata di odio che si sta scatenando sui social network nei confronti di Mattarella, che per i toni che si stanno toccando ricorda un po’ quello che subiva quotidianamente l’ex Presidente della Camera Laura Boldrini. Sapendo che non è la prima volta che un Presidente della Repubblica dice no a un ministro proposto dal Presidente del Consiglio. Per citare solo alcuni precedenti, nel 1979 Sandro Pertini aveva bocciato Clelio Darida, proposto da Francesco Cossiga; nel 1994 è stato Oscar Luigi Scalfaro a dire no a Silvio Berlusconi su Cesare Previti. Il caso più recente risale al 2014, quando Giorgio Napolitano non ha voluto Nicola Gratteri nella squadra proposta da Matteo Renzi. Tutte le altre volte, era stato semplicemente proposto un nome alternativo, senza far scoppiare un caso mediatico. Tanto che, visto quanto è accaduto nelle ultime ore, resta l’impressione che non si sia voluto trovare un ministro dell’economia alternativo a Savona, sebbene circolasse ufficiosamente il nome di Giancarlo Giorgetti, capogruppo della Lega alla Camera dei Deputati. Il motivo non è molto chiaro. Matteo Renzi ha avanzato l’ipotesi del piano architettato da Lega e M5S per tornare alle urne.
Una crisi delle istituzioni senza precedenti
L’unica certezza in tutta questa vicenda è che siamo davanti a una gravissima crisi della fiducia nei confronti delle istituzioni, una crisi forse senza precedenti. Se già molti italiani avevano idee populiste e critiche verso le istituzioni prima del 27 maggio, ora se ne aggiungeranno con tutta probabilità tanti altri. Questo è quello che accadrà per aver reso Mattarella il capro espiatorio della situazione politica del nostro Paese e per averlo accusato di avere svenduto il popolo italiano a un’Unione Europea che lo schiavizzerebbe. Nell’attesa di conoscere gli sviluppi di questa faccenda, l’Europa e il mondo ci guardano, con crescente apprensione.