Un paese in guerra, miseria, morti, bagliori nel buio, corpi per le strade, verità che non si sapranno mai. Tutti elementi che ci riportano drammaticamente ad una contemporaneità sotto gli occhi di tutti, ma che facilmente si potrebbero adattare a decine di tragici conflitti analoghi che hanno insanguinato e che insanguinano il mondo. Ma dietro immani tragedie si celano spesso spietati affaristi. Una rete di trame nascoste, di traffici «sporchi», di venditori di morte. Ogni paese in guerra diventa una nuova zona franca. Ma c’è stato qualcuno che ha provato – e anche questa è storia, seppur strettamente contemporanea – ad addentrarsi, con la sola arma del microfono, in questa rete di morte legata alla guerra, al denaro, alle trame internazionali, ai drammi degli ultimi. Stavolta con la storia non torneremo indietro di molto, ci basterà fermarci al 1994 per scoprire, forse, inquietanti similitudini con situazioni del presente percorrendo un ponte che attraversa gli ultimi trent’anni e che fu aperto da Ilaria Alpi.
20 marzo 1994: la telecamera si spegne
La giornalista del TG3 Ilaria Alpi è in Somalia per l’ennesima volta. Arriva il 12 marzo 1994 con il suo operatore Miran Hrovatin, negli altri viaggi l’aveva accompagnata Alberto Calvi. Girano vari filmati tra Mogadiscio e Bosaso, città portuale a nord del paese. Le ultime riprese risalgono ai giorni tra il 17 e il 19. Poi la luce rossa della registrazione si spegne: non si riaccenderà mai più.
Per raccontare questa storia, la storia di una giornalista di coraggio e degli inquietanti traffici sui quali indagava, partiamo dalla fine, ovvero dal 20 marzo 1994. Ilaria e Miran vengono investiti da una raffica di proiettili non appena da Bosaso, dove indagavano su strane navi, rientrano a Mogadiscio. Nessuna autorità italiana accorre sul posto. Sono presenti solo alcuni colleghi giornalisti, poliziotti somali e Giancarlo Marocchino (un imprenditore italiano privato in Somalia legato a doppio filo alle forniture dei contingenti militari, ndr).
Perché questa morte? Perché il tentativo di consegnare all’opinione pubblica italiana un finto colpevole? Perché le cassette registrate da Ilaria spariscono in parte? Cosa aveva ripreso e con chi aveva parlato? Chi le ha dato le informazioni? Cosa aveva raccontato di così scottante?
La Somalia, l’Italia, gli Stati Uniti, Ali Mahdi, Aidid: un paese devastato che diventa zona franca
La Somalia dei primi anni Novanta è un paese devastato dalla guerra. Ilaria vive i drammatici momenti delle ultime fasi dell’operazione internazionale «Restore Hope», prima del ritiro del contingente italiano, specialmente dopo forti destabilizzazioni come l’attacco al checkpoint «Pasta». Vive lo scontro sanguinario, dopo la caduta di Siad Barre, tra Mohammed Farah Aidid e Ali Mahdi Mohammed.
Quest’ultimo viene scelto infine dagli americani come «parte da supportare». Piste differenti segue invece Ilaria, molto diffidente nei confronti di tutti i militari della missione internazionale, intenta testardamente a cercare la verità per le strade infuocate di Mogadiscio.
Mentre Ilaria lavora sorgono dubbi, anche a livelli istituzionali, sui fondi e sulle risorse stanziati per la coalizione militare. Medicine, denaro, armi, finanziamenti per infrastrutture, navi per riattivare la pesca dei somali. Un giro immenso di risorse dai contorni poco chiari che spesso hanno punti di tangenza con imprese private e apparati poco limpidi dei servizi, delle istituzioni locali ed, infine, di imprenditori internazionali.
Non di rado l’esercito si appoggia a personaggi come il già menzionato Marocchino, primo ad accorrere sul luogo dell’omicidio Alpi, il quale forniva supporto logistico di ogni tipo alle truppe italiane. Quest’ultimo veniva mal digerito dalla stessa Alpi, fu anche arrestato e poi liberato dagli americani.
In questo contesto «paludoso» di un paese devastato e al centro di mille traffici, sottoposto ad embargo, ma tuttavia ricco di armi dalla provenienza incerta, la Alpi parla con la gente, ottiene informazioni, si sposta su sentieri non battuti da tanti altri suoi colleghi.
Rifiuti tossici, navi fantasma, Gladio: il lato oscuro della Somalia rivela ad Ilaria Alpi una ragnatela internazionale
Vivendo il drammatico contesto della guerra somala, Ilaria Alpi inizia a seguire piste alternative. Cerca di andare oltre le questioni superficiali e di capire cosa accade in quella zona franca al tracollo che tutti vogliono aiutare, a parole e molti sfruttano subdolamente nei fatti. Inizia ad indagare su navi legate alla cooperazione e su navi italiane impiegate in Somalia, ma non solo.
Indaga su rifiuti tossici e radioattivi scaricati nelle foci dei fiumi, sulle spiagge, in zone della Somalia un tempo votate alla pesca, con un’economia di sussistenza che diventano pian piano deserti nucleari. Ilaria ipotizza legami tra traffici illeciti e organizzazioni militari più o meno deviate. Intuisce che, mentre la battaglia imperversa per le strade, nel silenzio delle località meno battute dai curiosi avvengono inquietanti misfatti.
Ilaria Alpi capisce che dietro quella guerra, come sempre, c’è chi lucra. Viene a sapere che navi inviate in Somalia per favorire la pesca trasportano in realtà tutt’altro. Ha notizia di aerei che sganciano di notte carichi nocivi. Una luce sulla ragnatela occulta che legava la Somalia ad una complessa rete internazionale, molto più grande di lei, Ilaria riesce a gettarla nell’ultimo periodo delle sue ricerche. L’essere probabilmente ad un passo da verità indicibili sarà stata proprio la causa che ha segnato la sua fine.
Perché negli ultimi giorni prima della morte non si trova a Mogadiscio ma al porto di Bosaso, in un’area apparentemente marginale rispetto al conflitto? Qualcuno le aveva dato delle informazioni che le hanno fatto prendere strade ben diverse da quelle battute dal resto della stampa mondiale in quei frangenti? E perché in viaggio proprio tra Bosaso e Mogadiscio si trovavano contemporaneamente militanti dell’organizzazione Gladio?
La misteriosa flotta “Schifco”, l’intervista a Abdullahi Bogor, le notizie riservate del Sismi
Tra le ultime registrazioni video di Ilaria Alpi ci rimane qualche minuto dell’intervista al governatore locale di Bosaso, Abdullahi Bogor, con il quale parla di una strana flotta di navi gestita da imprese italiane: la «Schifco». La Alpi fa ripetute domande a Bogor relative ad un personaggio somalo, con passaporto italiano, che inizialmente la gestiva per Siad Barre. La flotta, secondo quanto viene risposto alla Alpi nel filmato, faceva capo in parte ad una società italiana.
«Per la maggior parte del tempo le navi sono nei nostri mari», rimarca Abdullahi ad Ilaria, aggiungendo che molte provenivano dal Nord Italia. Non è da escludere che le navi «Schifco» siano state impiegate per il trasporto di armi e rifiuti tossici e non solo in Somalia.
Ad un certo punto Ilaria Alpi domanda di una nave requisita dai Somali. Non ne fa il nome, ma si trattava della «Faarax». A molti è apparso strano il fatto che la giornalista fosse a conoscenza di un’informazione, quella del sequestro della nave, che in quel momento era nota solo al Sismi e agli apparati di sicurezza militari. Bogor le risponde, ma perché lei nella domanda aveva già fatto intendere di conoscere il fatto. La Alpi aveva una fonte nei servizi?
12 novembre 1993: viene ucciso l’agente del Sismi Vincenzo Li Causi
Chi ha fornito alla giornalista rivelazioni tanto precise quanto poco note? Pochi mesi prima dell’omicidio Alpi-Hrovatin, sempre in Somalia, muore ucciso un agente segreto del Sismi Vincenzo Li Causi. Nome in codice «Sirio», Li Causi fu anche comandante della stazione «Scorpione» di Gladio in Sicilia oltre ad essere stato inviato per missioni d’intelligence italiane in tutto il mondo. Riceverà la Medaglia al Valore.
Provati sembrano essere ormai collegamenti tra Li Causi e la Alpi. Forse l’agente, preoccupato da alcune situazioni e timoroso per la sua stessa vita, ha ceduto alla giornalista qualche informazione sicura e scottante. E forse proprio per questo, ad un certo punto, Ilaria lascia Mogadiscio e si sposta nella periferica Bosaso. E forse, per questo, pochi giorni dopo il ritorno da quel porto lontano dai riflettori della guerra viene freddata per le strade di Mogadiscio da un non meglio definito commando.
Cosa aveva saputo l’inviata del TG3, di così pericoloso, da dover essere eliminata? Cosa arrivava nottetempo, lontano dagli scenari di guerra, nei silenziosi porti periferici della Somalia?
Le fabbriche polacche, il porto di Liepaja in Lettonia e l’embargo violato
Recenti inchieste hanno rivelato gli oscuri legami tra la flotta «Shifco», altre navi in giro per il mare in quegli anni e i paesi dell’Europa dell’Est. Comprovati appaiono tragitti che legano alcune fabbriche di armamenti in Polonia al porto lettone di Liepaja dal quale alcuni carichi sarebbero saltati alla volta della Somalia, nonostante l’embargo ufficialmente in vigore.
Tra i tanti imprenditori privati che si muovevano intorno al drammatico palcoscenico somalo, non mancavano affaristi dell’est Europa impegnati soprattutto nel commercio di armamenti. Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, anche in Italia diverse procure avevano indagato su partite di armi portate via mare alle organizzazioni criminali, provenienti, in quel caso, dall’arsenale da dismettere dell’Unione Sovietica.
Le navi giunte in Somalia, però, avevano altra provenienza. Un consistente carico bellico proprio nei primi mesi del 1994, a brevissima distanza dagli omicidi Li Causi, Alpi e Hrovatin, comprendeva armamenti partoriti dalla Polonia e passati per la Lettonia, ma accompagnati anche – lo conferma un rapporto ONU poco circolato – da un carico partito dagli Stati Uniti, ufficialmente spedito dal governo americano come supporto militare alla coalizione e inspiegabilmente finito, secondo l’ONU, in un carico che dall’Est Europa, violando l’embargo, era giunto in Somalia e non di certo in mano alla cooperazione internazionale.
Le indagini italiane, il racconto degli investigatori, le navi dei veleni
Parallelamente alla vicenda Ilaria Alpi in Somalia, l’Italia affrontava proprio in quegli anni le prime indagini corpose sul traffico di rifiuti tossici tra Europa ed Africa, passando per le mafie italiane e coperto da connivenze più o meno palesi di apparati militari deviati. Celebre il caso delle cosiddette «navi a perdere» che facevano avanti e indietro tra porti del Nord Europa, Mediterraneo e Africa. Molte di queste venivano fatte appositamente affondare, per inabissare carichi di rifiuti radioattivi e nocivi di vario genere.
Molte delle inchieste e delle ricerche effettuate in Italia sono finite con un buco nell’acqua o anche qui con morti del tutto sospette. Una menzione merita il capitano Natale De Grazia, originario di Reggio Calabria, morto in circostanze mai chiarite mentre raggiungeva in auto il porto di La Spezia, snodo cardine nella vicenda delle «navi a perdere» e porto di partenza di navi che anche la Alpi incontrò nelle indagini somale.
In occasione di audizioni delle commissioni d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti – ma anche in una recente intervista realizzata da chi scrive questo articolo – uno di quegli investigatori, Gianni De Podestà, al tempo al lavoro per diverse procure come quella di Asti, Brescia, Roma e Reggio Calabria e collaboratore anche di De Grazia, ha spiegato alcuni dei delicati passaggi di quelle inchieste. Una di esse fu tolta proprio ad una delle procure con cui collaborava, quella di Asti, per concludersi a Roma con un nulla di fatto.
Un collega che le dicevo, si chiamava Stival (ndr William Stival, ex assistente del Corpo Forestale), capitò in squadra con De Grazia e dovevano perquisire casa di un ammiraglio della Marina Militare. Pare vi fossero documenti su rotte navali che interessavano De Grazia. In quel caso il collega riferì di un comportamento non corretto da parte di un comandante dell’aliquota operante. Ma non so dirle di più …
“Navi dei veleni e rifiuti tossici in Calabria. Intervista al sottufficiale forestale Gianni De Podestà che indagò con De Grazia”, di Paolo Cristofaro, apparsa su La Nuova Calabria, 2021)
L’indagine di Brescia toccò anche Giancarlo Marocchino, l’imprenditore italiano in Somalia
Il racconto di investigatori come De Podestà, ascoltato più volte dalla commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ha toccato anche la figura di Giancarlo Marocchino che abbiamo già incontrato. Imprenditore italiano a Mogadiscio, vicino ai servizi logistici per i contingenti militari, primo ad accorrere sul luogo dell’agguato ad Ilaria Alpi:
Intercettammo alcune conversazioni satellitari tra Giancarlo Marocchino ed altri soggetti. Nel momento in cui il contingente militare italiano stava lasciando la Somalia, Marocchino parlava di documenti da prelevare all’ambasciata italiana di Mogadiscio. Il Pm con cui lavoravamo, sentite le intercettazioni, aveva chiesto anche il fermo per i soggetti interessati, ma la pratica venne presa in carico dalla Procura di Roma, che esonerò quella di Asti per cui lavoravo. Ci dissero che queste questioni erano di loro competenza, trattandosi di vicende internazionali. L’indagine su Marocchino passò a Roma. Noi poi non sapemmo più nulla…
(Navi dei veleni e rifiuti tossici in Calabria… cit.)
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE, FONTI E RIFERIMENTI:
- Massimiliano Giannantoni, Skorpio. Vincenzo Li Causi, morte di un agente segreto
- Giorgio e Luciana Alpi, Mariangela Gritta Grainer, Maurizio Torrealta, L’esecuzione: inchiesta sull’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
- Lucia Guarano e Mattia Ammirati, Ilaria Alpi. Armi e veleni, le verità interrotte
- Claudio Canepari, Gabriele Gravagna, Ilaria Alpi – L’ultimo viaggio (documentario Rai)
- Paolo Cristofaro, Nave dei veleni e rifiuti tossici in Calabria. Intervista al sottufficiale forestale Gianni De Podestà che indagò con De Grazia
Si consiglia la lettura dei documenti pubblici sull’indagine Alpi e dei verbali delle audizioni d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti relative alle navi dei veleni, al traffico internazionale di materiali tossici e alle dichiarazioni di De Podestà e dei suoi colleghi investigatori.