di Aurelio Lentini
A poche settimane dal tracollo a destra dell’Argentina (la prima volta che la destra arriva al governo senza un golpe) la notizia della sconfitta della Coalizione guidata dal Partito Socialista Unido de Venezuela e del chavismo in sé fanno temere un ritorno dell’America Latina a un periodo di tenebre.
Più che un ritorno si tratterebbe di una caduta a precipizio nel baratro del neoliberismo suddito degli interessi nordamericani e multinazionali. Occorre infatti chiarire una cosa: qui non si fa retorica. Senza il bisogno di tornare a evocare le sanguinose dittature che hanno lacerato un intero continente ad uso e consumo degli Stati Uniti, basti considerare come dalla maggior parte degli analisti il periodo di “dominio” delle politiche neoliberiste di nuovo corso, dagli anni ’80 all’inizio dei ‘2000, sia ormai considerato una decade perduta. Anni in cui le tutele sociali sono state polverizzate e che sono contraddistinti da un apertura scellerata al mercato globale, manifestata in primo luogo nelle privatizzazioni a tappeto che hanno contribuito a favorire un contesto segnato dalla chiusura delle fabbriche, da una fortissima disoccupazione e da un impoverimento generale.
Dopo il default dell’Argentina del 2001 la tendenza si è invertita. Paesi e uomini del continente latinoamericano si sono sollevati e uniti nel reclamare libertà, giustizia, eguaglianza e autodeterminazione per l’America Latina: sono gli anni di Hugo Chávez (in Venezuela), Néstor Kirchner (in Argentina), Luiz Inácio Lula da Silva (in Brasile), e successivamente di Evo Morales (Bolivia), Rafael Correa (Ecuador) e Pepe Mujica (Uruguay). Dopo il rifiuto dell’ALCA nel 2005, il Trattato di libero scambio delle Americhe (una sorta di TTIP del continente americano), questi uomini e questi Paesi hanno lavorato perché si sviluppassero i rapporti sud-sud, in modo solidale e indipendente; lo Stato è tornato a farsi carico dei propri cittadini e ovunque sono state messe in moto riforme strutturali che hanno tolto milioni di persone dall’indigenza.
Di più, questi Paesi hanno determinato lo sviluppo di un processo economico-sociale alternativo sul piano mondiale. Forti della loro alleanza, e degli strumenti che si sono dati quali Mercosur e Alba, hanno reso possibile e reale un modello sociale che non fosse né il neoliberismo ai comandi dell’occidente, né il socialismo di stampo sovietico, ma un modello solidale genuinamente latinoamericano, non importato e imposto ma fatto nascere dalle viscere di questa terra. Ed è proprio questo modello, questa alternativa – unica al mondo – che ci si sta sforzando di abbattere.
Come scrive Claudio Tognogato su Il Manifesto «Nell’ultimo decennio l’America Latina è stata l’unica regione al mondo dove è diminuita la disuguaglianza, dove il coefficiente di Gini, la distanza tra ricchi e poveri, è diminuito. Lo Stato ha ripreso un ruolo centrale, ha nazionalizzato o controllato alcune aziende privatizzate, ha aumentato la spesa in ricerca, educazione e salute, ha difeso i diritti umani e l’occupazione».
È la milionesima casa popolare ammobiliata quella che il Presidente Nicolas Maduro ha promesso di consegnare entro dicembre, dopo le 900.000 che sono già state consegnate. Quelle stesse case popolari dai cui balconi in più occasioni sventolava la bandiera della Mud, la coalizione di 18 partiti di destra che domenica ha creduto di aver affossato una volta per tutte il chavismo.
La notizia infatti è questa: alle elezioni Parlamentari per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale tenutesi il 6 dicembre il cartello dei 18 partiti delle destre, la Mesa de la Unidad Democratica (Mud) ha conquistato 112 deputati, il 67%; mentre il Psuv (il partito del Presidente Maduro) ne ha 55, pari al 32,93%. In termini di voti il Psuv totalizza 5.599.025 milioni di voti, contro i 7.707.422 dei vincitori.
Il Venezuela è una Repubblica Presidenziale in cui il potere esecutivo è esercitato dal Presidente (Nicolas Maduro) e dai suoi ministri, mentre quello legislativo dal Parlamento. Cosa succede quindi? Succede che il paese è diviso tra un esecutivo chavista e un parlamento che dal 5 gennaio sarà guidato dalle Destre riunite; e che con la sua maggioranza dei 2/3 potrà mettere in discussione, come già annunciato, tutte le conquiste del bolivarismo e del socialismo umanista venezuelano – rimozione delle principali cariche dello stato, espulsione dei giornalisti non graditi, abolizione delle riforme sul lavoro, ripristino del latifondo sia terriero che mediatico, abolizione della riforma sul prezzo giusto (una sorta di calmiere a beneficio delle classi meno abbienti), svendita degli idrocarburi (specie per non danneggiare le big nordamericane), fine del controllo dei cambi e della tradizione di pace delle Forze armate bolivariane inviandole in missioni all’estero – e proporre un Referendum revocatorio contro Maduro.
L’obiettivo delle destre Venezuelane, che vanno a braccetto con tutti i colleghi ex-golpisti del resto del continente, è quello di abbattere Maduro e smantellare il modello alternativo portato avanti dal chavismo. E non a caso in questa missione sono sponsorizzate e sostenute non solo dagli altri partiti conservatori latinoamericani, ma dagli Stati Uniti e dagli interessi internazionali che guadagnerebbero da un ritorno del continente al modello neoliberista. Perché? Perché se cade il Venezuela il rischio che l’Alternativa socialista latinoamericana piombi nel baratro diviene sempre più una certezza.
Se riportata nel suo contesto inter-regionale, dove il Brasile di Dilma Roussef è assediato dagli interessi neoliberisti vicini al FMI, Cuba vive un periodo di profondo cambiamento, l’Argentina è passata a destra e il Cile è ancora un paese ancora troppo giovane per poter assumere un ruolo di primo piano; se ci riferiamo a questa situazione diventa palese che il Venezuela è il pilastro sul quale poggia il processo del socialismo latinoamericano. Tolto il Venezuela si apre l’ignoto, perché Bolivia, Ecuador e Uruguay sono paesi troppo piccoli per spostare gli equilibri mondiali e tenere duro contro la reazione dei poteri forti.
Cosa succederà adesso? si serrerano le fila. La sinistra venezuelana ha già avviato un congresso straordinario e si prepara a dar battaglia, perché, come sostiene Roy Chaderton intervistato da Geraldina Collotti su Il Manifesto «Quando si naviga controcorrente, si hanno solo due possibilità: la più facile è quella di lasciarsi affogare, la seconda è quella di rafforzare la muscolatura, come abbiamo fatto noi durante 17 anni. Il processo bolivariano non è finito, in questa nuova tappa troverà modo di rafforzarsi e di rettificare gli errori».
E, come ha dichiarato Nicolas Maduro, «la solidarietà internazionale troverà sempre al suo fianco la rivoluzione bolivariana sui temi che ci accomunano: la libertà delle donne e delle diversità, la libertà di espressione, l’opposizione alla guerra e per l’indipendenza dei popoli. Siamo qui, non siamo disposti ad arrenderci. Per questo, metto la mia vita in gioco».
Maduro, amigo, el pueblo esta contigo.