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Il Tour di Pantani

5 minuti di lettura

La Francia al centro del mondo

Durante l’estate del 1998 il nostro paese è in trepidante attesa principalmente per un evento sportivo, i mondiali di calcio che andranno a svolgersi in Francia. La nostra nazionale è una delle favorite della competizione, puntiamo tutto su una difesa di ferro guidata da capitan Maldini (con il padre Cesare in panchina ad allenare), Christian Vieri è in uno stato di grazia e i bar sport dello stivale si dividono sul dualismo fra Baggio e Del Piero. Eppure, come successe negli altri due mondiali della decade degli anni ’90, anche in Francia la nostra nazionale viene sconfitta ai calci di rigori, in questo caso proprio contro i padroni di casa. Nella memoria collettiva ci saranno sempre le lacrime di Di Biagio, il cui rigore si pianterà sulla traversa.

Nessuno si sarebbe aspettato, però, che milioni di italiani sarebbero rimasti incollati alle televisioni anche qualche settimana dopo, a causa di un altro evento sportivo. Infatti Parigi, dopo aver ospitato l’atto finale dei mondiali (Francia – Brasile 3-0, in una delle finali più discusse della storia, a causa del malore che colpì Ronaldo qualche ora prima del match) si prepara, come consuetudine, ad accogliere i ciclisti rimasti in gara dopo le tremende fatiche del Tour de France. Tanti sconfitti e un solo, epico, vincitore.

Un’estate indimenticabile per i francesi.
www.atuttocalcio.it

Un predestinato

Fino all’anno mirabilis 1998 l’esistenza ciclistica di Marco Pantani era stata parecchio travagliata. Si fece conoscere da giovanissimo al Giro d’Italia di quattro anni prima, quando vinse due tappe di montagna durissime, con arrivo a Merano e ad Aprica. All’epoca aveva solo 24 anni, niente per un ciclista professionista. Come disse alla partenza, quello sarebbe dovuto essere il suo Giro d’Italia: «Se non faccio qualcosa di importante, me ne torno a Cesenatico a vendere piadine con mia madre» rivelò ai compagni. Due tappe di montagna e il secondo posto della classifica generale furono un bel viatico per un futuro a tinte rosa (in ogni senso). Eppure, la sfortuna, imperterrita, si mise di traverso fra Marco e la gloria. Una lunga serie di infortuni (tra cui uno gravissimo a tibia e perone) gli compromisero le stagioni successive.

Il 1998 deve per forza di cose essere il suo anno: o adesso o mai più. Gli infortuni sono un ricordo sbiadito, lontano, come il mare di Cesenatico e la riviera. Adesso ci sono le montagne, la fatica, le salite, quelle che Marco percorreva così forte solamente «per alleviare la mia agonia» come disse, profeticamente, a Gianni Mura durante il suo periodo di massimo splendore. Il Pirata, soprannome dovuto alla bandana che il ciclista era solito utilizzare durante gli arrivi in salita, vince il Giro d’Italia sconfiggendo il russo Pavel Tonkov, staccandolo in salita nella tappa di Montecampione. I compagni di Pantani sapevano che prima o poi la maglia rosa l’avrebbe portata fino a Milano, era solo questione di tempo, bisognava solamente recuperare una forma accettabile. Marco era nettamente il più forte di tutti fra coloro che erano soliti partecipare al Giro d’Italia. Il Tour no, il Tour era un’altra corsa. Il livello si alzava notevolmente e lui, Marco, gracile scalatore puro, avrebbe avuto vita durissima a cronometro contro dei veri e propri specialisti delle sfide contro il tempo. Eppure poche settimane dopo la fine del Giro, il Pirata si presenta in Francia con la voglia di cavalcare l’onda di un momento irripetibile.

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Marco Pantani da giovane.
www.ciclistapericoloso.com

Il Tour del 1998

I francesi sono in estasi da qualche giorno: Zidane, con una doppietta in finale, ha appena consegnato al paese la prima, storica, coppa del mondo di calcio. Il Tour de France passa in secondo piano e, oltretutto, sono tanti anni che un corridore di casa non vince la corsa ciclistica più importante del mondo. Ai blocchi di partenza i favoriti sono tanti e quasi tutti presentano determinate caratteristiche: eccellenti cronomen. ottima squadra al loro fianco e una discreta abilità in salita. Qualche nome? Jan Ullrich su tutti, ma anche Bobby Julich, Michael Boogerd e, perché no, quel Bjarne Riis vincitore solamente due anni prima. C’è molto nord Europa in questo Tour: tedeschi, danesi, olandesi, è come se il Mediterraneo, terminata l’era Indurain, dovesse stare a guardare. Tra una volata e l’altra le prime tappe procedono in scioltezza, fino a quando la prima cronometro comincia a segnare distacchi significativi. Pantani, non ancora in condizione, paga già diversi minuti da Ullrich, nuova maglia gialla. I discorsi da bar si sprecano: la doppietta Giro-Tour in questa epoca storica non è più fattibile. Grazie per averci provato, caro Marco, ma questi corridori moderni sono troppo potenti, troppo calcolatori, troppo grossi, troppo e basta.

Alla undicesima tappa, però, Ullrich mette a nudo qualche difficoltà e Pantani ne approfitta all’istante. Vince in solitaria a Plateau des Beille, sui Pirenei, ed adesso il distacco dal leader si fa di soli tre minuti. Forse sono tanti, sì, ma ci sono ancora tutte le Alpi da scalare e Pantani è uno che non si vuole mai dare per vinto: la condizione fisica e, soprattutto mentale, sembra crescere di pedalata in pedalata. Ancora qualche volata di transizione e poi è il momento della verità, le cime alpine, i mostri sacri che hanno segnato la storia del ciclismo. Pantani è un giocatore d’azzardo di quelli vecchio stampo, senza calcoli. Il suo è un doppio o niente, che nel ciclismo si traduce facilmente: o faccio saltare la corsa o salto io.

L’arrivo è posto a Les Deux Alpes ma è il Galibier la montagna che Marco ha intenzione di sfidare. In una giornata piovosa che cozza particolarmente con l’immagine iconica che abbiamo del Tour (caldo, sole, bidon – borracce – rovesciate interamente sulla testa dei corridori), il Pirata decide di attaccare a 5 km dalla cima del Galibier. Julich prova a resistere. Ullrich si pianta completamente. Guadagna qualcosa come 30 secondi a km lungo l’ascesa, una volta arrivato in cima ha un vantaggio rassicurante per ciò che concerne la vittoria di tappa, ma Marco vuole di più. Sa che le salite rimaste non sono poi molte e che nella cronometro del penultimo giorno può pagare dazio rispetto ai favoriti. Così decide di andare a tutta sia in discesa, sia lungo l’ascesa finale verso il traguardo. Nessuno gli si riesce nemmeno ad avvicinare. Julich perde più di 5 minuti, Ullrich crolla e arriva al traguardo a 8 minuti e 57 secondi da Marco. È un trionfo celebrato degnamente da tutti i quotidiani sportivi mondiali. Marco Pantani è entrato nel cuore degli appassionati e da lì non se ne andrà più. La festa da Cesenatico si espande lungo tutta l’Italia. In milioni sono rimasti incollati al televisore durante i lunghi pomeriggi estivi, solamente per quel piccolo corridore romagnolo diventato ormai un orgoglio nazionale. La cronometro del penultimo giorno è una formalità. Vince Ullrich e questo lo si poteva immaginare. Pantani in una condizione fisica stratosferica limita i danni e concede al tedesco poco più di due minuti. Il Pirata concluderà il Tour a Parigi in maglia gialla, con 3’21” di vantaggio sul campione tedesco.

A posteriori sappiamo che questa fu la vetta toccata da Marco Pantani lungo l’intricato percorso della sua vita. Da qui in poi l’abisso, il nulla, la morte. Questa pagina però, almeno per oggi, non abbiamo intenzione di aprirla.

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L’apoteosi.
www.ilrestodelcarlino.it

 

Immagine in copertina: www.ilpescara.it

 

Giacomo Van Westerhout

Classe 1992, possiedo una laurea magistrale in ambito umanistico. Maniaco di qualsiasi cosa graviti intorno allo sport e al calcio in particolare, nonostante da sportivo praticante abbia ottenuto sempre pessimi risultati. Ho un debole per i liquori all'anice mediterranei, passione che forse può fornire una spiegazione alle mie orribili prestazioni sportive.

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