Nell’analisi di un’opera d’arte ci si è spesso avvalsi dei canoni classici di purezza, equilibrio e misura per definire l’effettivo valore di una creazione. Una rottura con queste regole, ritenute quasi vincolanti, se non imprescindibili, era indice di una decadenza estetica, di una mediocrità visiva e ideologica. Col senno del poi e con l’occhio del tempo trascorso, i critici odierni hanno saputo rivalutare opere denigrate e derise in passato, restituendo loro la dignità di lavori innovativi e originali. Fra questi, un esempio particolarmente interessante per lo scalpore suscitato è Il Sonno di Endimione (Le Sommeil d’Endymion), di Anne-Louis Girodet de Roussy-Trioson, più genericamente Girodet, dipinto nel 1791.
Palesemente sovversivo, volontariamente provocatorio, Il Sonno di Endimione è un’opera che segna il tramite tra la classicità arcaica, ormai prossima al declino, e la modernità dirompente dell’Ottocento, che si avvale di una nuova tavolozza cromo-tematica di sentimento e oscurità. Girodet, fra gli alunni più dotati del grande Jacques-Louis David, si cimenta dunque nella rappresentazione di un tema classico, quale il mito del fanciullo Endimione, sfruttando però una nuova tecnica di raffigurazione efebica che effemina e raffina la figura del fanciullo addormentato. Infatti, mentre il movimento classicista rendeva le figure mitiche possenti e michelangiolesche, Girodet tramuta Endimione in una figura androgina, estremamente delicata e in una posa così languida da rammentare il sonno di giovani fanciulle pastorali. Cogliendo l’istante in cui l’argentea Selene si congiunge all’amato sotto forma di pallidi raggi lunari, Girodet scolpisce a tratti di contrasto il corpo di Endimione, plasmato da luminosità opposte che ne cesellano il busto, gli arti e il viso estaticamente reclinato, fino a all’ondulata e riccioluta capigliatura, lunga e scarmigliata come dopo un amplesso amoroso.
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La presenza di un piccolo zefiro, il quale presenta gli attributi spesso attribuiti alla metafisica Psiche (come le ali di farfalla), permette l’incontro dei due amanti, permettendo il passaggio del flusso divino fra le fitte fronde. Mantenendo gli elementi della simbologia tradizionale, come gli utensili da pastore di Endimione quali la pelliccia e il bastone, nonché la presenza di un segugio dormiente ai suoi piedi, Girodet, con un giro di vite significativo e simbolico di un passaggio da antico a moderno, dona vita ad un’opera che gioca sull’opposizione, sul contrasto, che si congiungono nell’essenzialità del doppio.
Complementare o antitetico che sia, il doppio, l’allusione, sono il centro focale del dipinto, e rende possibile interpretazioni e analisi sempre nuove. Culmine del periodo romano del pittore, Il sonno di Endimione (oggi conservato al Louvres) fu motivo di scherno e spesso grevi insulti da parte di altri artisti dell’epoca, che in taverne come nelle accademie si scagliarono contro il pittore francese definendolo la vergogna del suo immenso maestro, senza contare accuse e offese personali riguardanti l’ambigua sessualità di Girodet. Ciò nonostante, il dipinto di Girodet rimane il precursore di un movimento, il primo slancio creativo verso un’estetica dell’incertezza, la reinterpretazione di principi e temi ormai usurati, il primo esempio di una nuova e brillante generazione di artisti il cui principio estetico nasce e si consuma nell’originalità.