Il 22 agosto è uscito l’atteso horror all’italiana Il Signor Diavolo di Pupi Avati, regista molto discusso di cui abbiamo già parlato in un nostro precedente articolo: Aspettando «Il Signor Diavolo» di Pupi Avati. Vediamo insieme cosa ci si riserva questo film.
«Il Signor Diavolo»: il classico Avati
1952. Un terribile omicidio scuote la campagna del Comacchio. Un bambino uccide un suo coetaneo credendolo il Diavolo. Sarà un funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia, Furio Momentè a dover indagare sul caso. Chi era realmente la vittima? Il bambino ha ucciso per sua spontanea volontà o è stato plagiato? Qual è la verità? Come in tutti i gialli-horror di Pupi Avati, il nostro protagonista scoprirà cosa è realmente accaduto dopo una lunga indagine tra scartoffie, superstizioni e personaggi che sembrano usciti da un incubo. Ma sarà troppo tardi…
A 81 anni il regista si lancia in questo progetto cinematografico rimanendo fedele alle tematiche tanto amate: la sacralità del Male, l’Italia rurale con tutte le sue superstizioni e l’atmosfera gotica e surreale. Ci viene presentata un’Italia ignorante e superstiziosa, dove si crede che il Male si nasconda nella bruttezza:
«Nella cultura contadina il diverso, il deforme vengono associati al demonio».
Il senso del film è proprio questo: sfatare il mito del diverso visto come una minaccia quando in realtà il male è nascosto altrove.
L’eleganza del Male
Purtroppo questo messaggio però non è arrivato facilmente all’attenzione del pubblico che se ne va dalla sala non del tutto soddisfatto dal finale e con molte domande. Il film che ci propone Avati non è semplice e lineare, ma richiede uno sforzo interpretativo che non tutti sono disposti a fare soprattutto se abituati agli horror di mestiere come Annabelle, Insidious e compagnia.
Il finale criptico infatti racchiude in sé molte interpretazioni lasciando aperte molte strade. Un film dunque che, per chi non è un amante del classico horror all’italiana e soprattutto di Pupi Avati, risulterà probabilmente lento e noioso.
Particolarmente azzeccata è l’atmosfera gotica e suggestiva del paesino dove si svolgono gli eventi, specchio dei personaggi. Solitario e a tratti selvaggio pieno di scheletri nell’armadio proprio come era per La casa dalle finestre che ridono, il paesino di Comacchio è ancora una volta il set prescelto dal regista che ci fa fare un tuffo negli anni ’50 quando la superstizione e le credenze popolari erano probabilmente al proprio apice e facevano parte della vita quotidiana.
Un film che merita di essere visto e che, per chi non vuole fermarsi al «Non ho capito », apre al dibattito e alla riflessione. Soprattutto di quanto sia pericoloso etichettare una persona ed escluderla perché diversa.
«Il Signor Diavolo»: una spiegazione del finale
Proprio perché il film apre al dibattito, vi vogliamo proporre una possibile interpretazione del finale. Quindi se non avete ancora visto il film non leggete questa parte.
Siamo nella Chiesa del paese. Furio Momentè scende nella cripta dove trova effettivamente il cadavere della sorellina di Emilio. Se fate ben attenzione però noterete che il corpicino ormai mummificato non presenta morsi o altre violenze.
Questo fa dubitare dell’intera storia raccontata dai paesani e del fatto che Emilio fosse solo un ragazzo disturbato, intrappolato dall’etichetta di demonio che gli è stata affibbiata. Dunque lui non ha commesso nessun omicidio a differenza di Carlo che è evidentemente la peggiore incarnazione del Diavolo: quella che fomenta l’odio e rende gli uomini diversi.
Immagine di copertina: cinematographe.it