«La questione sociale s’impone; molti si son dedicati ad essa e studiano alacremente per risolverla. Anche l’arte non dev’essere estranea a questo movimento». È cosi che inizia il progetto di Giuseppe Pellizza da Volpedo di realizzare Il Quarto Stato, un’opera capace di cogliere e di raccontare lo spirito di secoli di battaglie sociali.
«Il Quarto Stato» di Pellizza da Volpedo: la storia
Il primo bozzetto viene completato nel 1891, con il titolo Ambasciatori della fame. L’opera, ancora molto rozza, già presenta la struttura della versione definitiva. In primo piano tre personaggi, in questo caso tre uomini, avanzano seguiti da una massa di gente sullo sfondo.
In una successiva versione, viene aggiunto un gruppo di donne per rappresentare le diverse categorie che compongono la classe dei lavoratori: «Son uomini, donne, vecchi, bambini: affamati tutti che vengono a reclamare ciò che di diritto».
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Una prima versione a olio del bozzetto viene realizzata nel 1895 con il titolo di Fiumana. L’opera, oggi conservata alla Pinacoteca di Brera, evidenzia la massiccia folla sullo sfondo resa protagonista del quadro. Fondamentale è l’inserimento di una donna con bambino affianco ai due personaggi maschili in prima fila che, silenziosi avanzano con passo lento e sicuro.
«Il Quarto Stato» di Pellizza da Volpedo: analisi dell’opera
Nel 1898 Pellizza decide di riprendere per la terza volta il lavoro sul «più grande manifesto che il proletariato italiano possa vantare fra l’Otto e il Novecento»: si intitolerà Il Quarto Stato. I toni cromatici vengono ridefiniti, le tinte si fanno più calde, tendenti all’ocra e al rosato. La tecnica pittorica è chiaramente quella divisionista.
Ne Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo viene inoltre accentuata la plasticità dei personaggi che, rispetto alla più confusa Fiumana, acquisiscono connotati realistici e ben definiti. L’opera subisce un perfezionamento non solo tecnico ma anche simbolico. Una nuova coscienza politica attraversa ora la tela di Pellizza da Volpedo che da un’indistinta massa di persone, passa al racconto del corpo dei lavoratori e degli operai, simbolo di un’universale lotta di classe.
Dietro di loro, nel corteo che segue c’è chi si guarda intorno, chi parla, chi gesticola, alcuni si riparano il viso dalla forte luce che li colpisce. Il folto gruppo letteralmente emerge dall’oscurità dell’oppressione per avanzare verso la luce della vittoria: ovvero il riconoscimento dei propri diritti e della dignità del proprio lavoro.
Il titolo definitivo dell’opera, Il Quarto Stato, si riferisce ad un termine coniato durante la Rivoluzione Francese per indicare lo strato più basso della società industriale ottocentesca, la classe lavoratrice formata da operai contadini e artigiani.
Accolto freddamente dai critici presenti alla Quadriennale di Torino del 1902, l’opera non si afferma tra le mura dei musei, ma si guadagna un posto nella Storia proprio per la forza del suo messaggio politico. Il Quarto Stato viene pubblicato su numerosi giornali della stampa socialista. È probabilmente la prima volta che un’opera d’arte viene utilizzata ai fini della diffusione di un pensiero politico, una nuova fase per la comunicazione di massa.
Dopo un’attività espositiva intermittente tra le varie sedi dei musei milanesi, nel 2010 l’opera trova la sua collocazione definitiva nel Museo del Novecento di Milano.
A proposito di Giuseppe Pellizza da Volpedo
Giuseppe Pellizza nasce a Volpedo (Alessandria), il 28 luglio 1868, in un’agiata famiglia di contadini. La sua formazione artistica inizia a Milano, all’Accademia di Brera, dove viene influenzato dalla Scapigliatura. Pellizza si sposta poi a Firenze, all’Accademia di Belle Arti. Allievo di Giovanni Fattori, si avvicina alla pittura verista.
Dopo aver partecipato nel 1898 all’Esposizione generale italiana a Torino, il pittore stabilisce un forte connubio artistico con Giovanni Segantini e Angelo Morbelli che gli fanno scoprire il Divisionismo.
La sua singolare formazione lo porterà a interessarsi alle numerose correnti artistiche del suo tempo senza mai fare realmente parte di nessun movimento. Alla fine, Giuseppe Pellizza sceglie di stabilirsi a Volpedo, il suo paese natale, e sposare una contadina del posto, Teresa Bidone, modella per la donna de Il Quarto Stato.
Deluso da un sistema dell’arte lontano dai suoi valori sociali e politici, il pittore vive un momento di grande sconforto, dovuto anche alla scomparsa del maestro e amico Segantini nel 1904. La morte della moglie e del figlio durante un parto nel 1907 sancisce la fine delle ambizioni artistiche di Pellizza da Volpedo. Il pittore si suicida lo stesso anno, impiccandosi nel suo studio.
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