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Fonte: Wikipedia

“Il più grande uomo scimmia del Pleistocene”: una lezione di storia indimenticabile

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2 minuti di lettura

«Il libro che avete tra le mani è uno dei più divertenti degli ultimi centocinquantamila anni». Non si può non essere d’accordo con questo commento di Terry Pratchett, autore britannico famoso per i suoi fantasy umoristici, che apre la presentazione a questo singolare romanzo: Il più grande uomo scimmia del Pleistocene.

Scritto da Roy Lewis, questo romanzo inizialmente fece fatica ad ingranare nel mercato librario degli anni ’60 per la difficoltà di definirne il genere: un’opera sì fantascientifica, ma ambientata nel pleistocene, periodo in cui l’uomo si separava lentamente dalle abitudini scimmiesche e si evolveva in homo habilis.

La storia narra le vicende di una classica famiglia di ominidi appena scesi dagli alberi e alle prese con le nuove scoperte della vita. La vicenda è narrata dal primogenito Ernst che ci racconta tutto ciò che accade: la scoperta del fuoco con il conseguente cambiamento dello stile di vita, le nuove tecniche di caccia, la necessità di abbandonare la pratica dell’incesto per dare il via a nuovi gruppi con una mescolanza genetica diversa, e soprattutto, il cambiamento mentale. È proprio questo cambiamento infatti a dare una consapevolezza diversa ai nostri personaggi che scoprono così di possedere sentimenti più profondi, la capacità di ragionare e credere in qualcosa di più della semplice realtà:

«Dobbiamo pur andare a finire da qualche parte…la nostra ombra, voglio dire»
«La nostra ombra?»
«Una specie di ombra interiore. C’è perché quando dormiamo essa vive ogni sorta di avventure».

La particolarità del libro è nel suo stile umoristico e nell’abbondante presenza di anacronismi che danno alla storia un tocco unico e fuori dagli schemi:

«[…] zio Ian […] era sempre in viaggio all’estero. Siccome non poteva mandarci nemmeno una cartolina per dirci che era ancora vivo, e non lo si vedeva da anni, mamma e le altre zie lo credevano morto».

Tutti i personaggi hanno proprie caratteristiche e abilità e il lettore non ha che da scegliere il suo preferito: Ernst il filosofo, Oswald il cacciatore, Wilbur l’artigiano e Alexander l’artista, per non parlare del primitivo (e convinto di rimaner tale) Zio Vania, uno dei personaggi più divertenti del romanzo.

Tuttavia, oltre all’allegria che la maggior parte delle vicende suscita nel lettore (esilarante la parte del corteggiamento), man mano che i nostri amici prendono consapevolezza di loro stessi, nascono in loro delle ombre e dei cattivi pensieri. Spicca per primo l’egoismo: la maggior parte della famiglia non vuole condividere i propri nuovi segreti con gli altri clan e inizia a serpeggiare il pensiero della supremazia sulle specie considerate inferiori:

«La nostra risposta è la sfida: ci daremo allo sterminio di tutte le specie che ci attaccano, risparmiando solo quelle che si sottometteranno. […] Vi supereremo in forza, pensiero, abilità, numero ed evoluzione! Questa e nessun’altra sarà la nostra politica!»

L’arrivo dell’Uomo purtroppo è segnato anche da un fatto tragico: un omicidio. Con quest’ultimo evento, Lewis ci lascia con l’amaro in bocca e con la consapevolezza che con l’evoluzione, l’uomo ha scoperto infinite sfaccettature di se stesso, compresa la cattiveria. Un romanzo dolce-amaro, che sa regalare ore di divertimento e molti spunti su cui riflettere.

 

 

Azzurra Bergamo

Classe 1991. Copywriter freelance e apprendista profumiera. Naturalizzata veronese, sogna un mondo dove la percentuale dei lettori tocchi il 99%.

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