I fatti umani sono sempre gli stessi, solo presi da prospettive diverse? Se la domanda è inesauribile, un piccolo sentiero di esplorazione si può tracciare con l’immagine del paradiso perduto, trasversale a molte religioni, in generale allo spirito dell’homo religiosus e centro (vuoto) della psiche umana. Ne Il sacro e il profano (1956), opera di introduzione al suo trattato, lo storico delle religioni Mircea Eliade approccia fenomenologicamente il campo del religioso, ritagliando una serie di nuclei tematici: tempo, spazio, Natura, esistenza, sotto il segno del sacro. Il paradiso perduto, prima di essere un luogo, è un tempo, cioè fa parte del Tempo Sacro, opposto a quello profano. Fuori dalla contingenza, quindi dalla finitudine delle esistenze particolari, esso si colloca nell’Origine, cioè in un Eterno conclusosi. Viene periodicamente ri-attualizzato dalla festa, sospensione del lavoro e delle attività intra-mondane, per ricollocarsi collettivamente, e rimembrare, la presenza del divino nel mondo. Esso è il tempo in cui gli dei abitavano la terra, posto fuori dalla storia e fondativo della storia. Ri-attulizzare il tempo sacro è ri-attualizzare, dunque, la creazione, e una comunione simbolica con gli dei. Il divino rientra nel mondo, e si ri-stabilisce quell’unità dell’Essere, di divino e umano, che gli uomini, con l’ingresso nella e della Storia, hanno perduto. Questo ha conseguenze importanti:
La nostalgia delle “origini” è quindi religiosa. L’uomo desidera ritrovare la presenza attiva degli dei, desidera vivere nel mondo fresco, puro e “forte” che era uscito dalle mani del Creatore. È la nostalgia della perfezione dei primordi che spiega in gran parte il periodico ritorno in illo tempore. In termini cristiani, si potrebbe affermare che si tratta di una “nostalgia del Paradiso” sebbene, a livello delle culture primitive, il contesto religioso e ideologico abbia tutt’altro significato. Il Tempo mitico che ci si sforza di riattualizzare periodicamente è un Tempo santificato dalla presenza divina, e si può affermare che il desiderio di vivere alla presenza degli dei in un mondo perfetto (in quanto appena nato) corrisponde alla nostalgia di una situazione paradisiaca.1
Mircea Eliade aggiunge qualche notazione. La parola chiave è quel sentimento di “nostalgia”, così comune alle culture, che ritroveremo nel profondo dello psichico individuale, con conseguenze spesso catastrofiche. Senza scomodare le infinite risonanze letterarie e filosofiche di questa parola, connessa al Paradiso, l’autore aggiunge che si potrebbe pensare, con mentalità moderna, che l’uomo religioso e primitivo sia uno schiavo dell’eterno ritorno, che la ripetizione dei suoi gesti blocchi la strada del nuovo, chiudendosi in un’esistenza inautentica. Così penserebbe «uno psicologo moderno».2 Per l’autore, invece, in questo ordine di idee ed esperienze ci si assume «una responsabilità sul piano cosmico»,3 poiché tutto il vivente è intessuto, attraversato dal divino, ne conserva le tracce poiché è stato creato da esso secondo la scrittura dei miti, modello immutabile. La ri-fondazione rituale ripet…