Il gioco dell’arte teatrale si impara seguendo le regole dell’immaginazione: ognuno ha il proprio posto nella concretezza dell’azione e del sentimento. E anche l’inconvenienza sociale della follia trova la propria collocazione nel teatro, come avviene con le parole vive di Luigi Pirandello ne Il berretto a sonagli.
Le regole del gioco
Il gioco è tale poiché vi sono delle regole, prescrizioni che rendono possibile il giocare stesso, che inizia nel momento in cui vengono applicate dai giocatori tali prescrizioni. Altrimenti, il caos.
Il funzionamento di un gioco, reso possibile attraverso regole, crea allo stesso tempo il proprio mondo, come realtà altra rispetto alla ripetitiva quotidianità, caratterizzata perlopiù da prescrizioni che non creano un comportamento, bensì ne precisano le modalità, o lo vietano (si pensi all’ormai abusato “vietato fumare”: tale norma obbliga a non fumare, tuttavia il fumare esiste, e si verifica indipendentemente da tale divieto).
La regola è divenuta un’abitudine accessoria all’azione, così sregolate da un’origine, un principio che la motivi in quanto la costituisce.
Il gioco come antidoto
Imparare a giocare può rappresentare il farmaco verso comportamenti sociali privi di fondamento, ma vissuti a seconda di permessi, possibilità o negazioni.
Il mondo del gioco non deve essere frainteso come luogo dell’inutilità, perché al contrario in esso tutto serve, tutto è servo delle prescrizioni in vigore, che valgono non come imposizioni dall’alto, ma come necessarie condizioni che ne costituiscono la base.
Tale forma ludica trova un’immediata rappresentazione nella messa in scena teatrale, gioco di far finta a cui partecipano attori e pubblico, seguendo regole che prescrivono di immaginare qualcosa di determinato.
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Il gioco del teatro
La finzione scenica non è falsità, o verosimiglianza rispetto alla realtà, piuttosto è una prescrizione immaginativa, è la regola di un gioco.
Lo spettacolo teatrale è l’esempio artistico di un mondo altro in cui spesso accadono -fittiziamente- vicende coinvolgenti, passionali, capaci di suscitare emozioni e pensieri nello spettatore, che pure resta consapevole della natura fittizia della messa in scena.
Tale possibilità è la prova della partecipazione del pubblico alla messa in scena, al gioco di far finta: anche lo spettatore si attiene alle medesime regole del gioco, per cui l’attore deve immaginare di essere il personaggio di una determinata vicenda.
Giocare con le parole
La tradizione drammaturgica offre un’infinita serie di testi, tali da suscitare la volontà di continuare immaginativamente il gioco della lettura, trasponendo il linguaggio verbale nel linguaggio dell’azione, unendo la parola al comportamento, al contesto, alla musica, alla vividezza di una voce e un corpo umano.
Tuttavia, è arduo concepire tale trasposizione senza limitarsi a riprodurre le descrizioni e le parole. La traduzione da testo scritto ad azione scenica comporta la consapevolezza della potenza emotiva e intellettuale dell’azione: in tal modo la regia di Francesco Bellomo riesce a tradurre senza tradire la grandiosità della prosa pirandelliana de Il berretto a sonagli nell’omonimo spettacolo in scena al teatro Manzoni dal 10 al 27 ottobre.
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La realtà in gioco
Il microcosmo borghese siciliano postbellico descritto argutamente ne Il berretto a sonagli da Luigi Pirandello, diventa l’occasione concreta di partecipare a un gioco immaginativo profondamente sagace e patetico, capace di coinvolgere veracemente tanto l’intelletto quanto le passioni.
La gelosia della bellissima signora Beatrice (Emanuela Muni) nei confronti del marito che presumibilmente la tradisce è lo sfondo passionale di una riflessione perspicace e ingegnosa sulle relazioni umane, che si districano attraverso la parola vissuta del ragioniere Ciampa (Gianfranco Jannuzzo), tra suggerimenti schivi del fratello (Gaetano Aronica), le comiche preoccupazioni della madre (Anna Malvica), il timore reverenziale della serva (Alessandra Ferrara), l’autoritarietà impacciata del commissario (Rosario Petix), i consigli quasi oracolari della cartomante saracena (Carmen di Marzo).
Immaginare per immaginarsi
La brillantezza della recitazione dei protagonisti è esaltata dalla sapiente forza interpretativa degli altri personaggi, per una compartecipazione totale che riesce a coinvolgere intimamente il pubblico, attraverso l’utilizzo equilibrato dell’ironia.
Il risultato umoristico invita energicamente alla riflessione e alla presa di consapevolezza circa gli atteggiamenti personali e relazionali, offrendo una direzione aperta all’immaginazione degli spettatori.
Il gioco drammaturgico pirandelliano prosegue potenziandosi sulla messa in scena, evidenziando la forza della parola e dell’azione, spaziando oltre la quarta parete, per arrivare al pubblico, vivacemente stupito nel seguire regole immaginative che permettono di cogliersi nel fondo spesso celato della realtà quotidiana, nei suoi risvolti più inquietanti sino al baratro della follia.