La storia di un uomo, a volte, si sovrappone con la Storia, quella con la lettera maiuscola. E si può dire, senza esagerare, che la storia di Pietro Ingrao coincide quasi per intero con quel secolo breve che lo storico Eric Hobsbawm fa iniziare nel 1914 e finire nel 1991. Nato nel fatale 1915 a Lenola, piccolo paese ciociaro fra Lazio e Campania, Ingrao ha attraversato da protagonista la Storia italiana e il suo bel libro Volevo la luna (Einaudi, 2007) ripercorre le tappe che l’hanno portato dalla militanza antifascista alla direzione de «l’Unità», dall’essere uomo di spicco del Partito Comunista Italiano fino allo scranno più alto di Montecitorio, quello di Presidente della Camera dei Deputati, in un passaggio così delicato per il Belpaese come è stato quello dei giorni del rapimento e dell’omicidio di Moro.
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Volevo la luna non è né una fedele ricostruzione storiografica delle vicende italiane né una misurata autobiografia dell’autore. Ingrao – oggi invidiabilmente centenario – ancor prima di essere un uomo politico di rilievo, è stato un uomo di cultura, appassionato di poesia e di cinema, ed è proprio per questo motivo che Volevo la luna non è un romanzo storico né un’autobiografia. Come scrive lo stesso autore nelle poche righe di presentazione del libro,
«Queste memorie sono in qualche modo la ricostruzione di una vicenda personale e sociale nelle insanguinate vicende del mio tempo. Ma […] non è proprio certo che le cose siano andate così, e con tale “ordine” sotteso. L’accaduto forse diverrà più sicuro, quando saranno appurati nessi ed eventi che a tutt’oggi, almeno per chi scrive, risultano ambigui o ancora nel farsi, o ancora troppo personali e segreti. Quell’evento fu così, come sta aggrappato nella mia dolce, dolorosa memoria? O si è consumata la chiave, ammesso che ci sia in campo una chiave, sia pure per una raccolta di frammenti? Essendo incerta la lingua, come si dà e si legittima la memoria? E perché temiamo tanto che la memoria si perda? È la vanità di stare ancora e per sempre sulla scena o un tentativo di salvezza? O forse è la memoria di una soggezione ad altri, tale che non può reggere il silenzio».
Già da queste righe emerge in tutta la sua vividezza una costante dell’intera vita di Ingrao, almeno per come egli ce la presenta: il continuo interrogarsi. Ed è proprio questa sorta di dubbio ontologico che porterà Ingrao, ad anni di distanza, a riconoscere gli errori commessi durante la sua carriera politica, ma anche, in tempi non sospetti, a maturare una personalissima linea politica che lo porterà a scontrarsi con la “destra” del Partito, o ancora a interrogarsi su quale potesse essere il significato di un crescente radicamento territoriale del Pci nei piccoli campanili d’Italia quando la partita in corso ormai si giocava su scala globale, in Asia, in Africa e in America Latina.
Volevo la luna è la straordinaria testimonianza di uomo la cui vita è stata interamente percorsa dalla passione politica, quella stessa passione politica che oggi è così difficile trovare tanto nei cittadini delusi quanto negli uomini politici senza una prospettiva a lungo termine sul divenire del mondo. Un uomo che sapeva infervorare le masse durante i suoi innumerevoli comizi, un uomo interessato a capire fino in fondo i profondi mutamenti in atto in Italia, un uomo che ha vissuto e che ha fatto la Storia del Paese – questo è stato Pietro Ingrao. E Volevo la luna ne è l’affascinante racconto.
[…] il bene del prossimo e del paese, secondo i dettami della sua ideologia. Per parlare della vita di Pietro Ingrao è utile evidenziare le parole che da sempre lo hanno caratterizzato e che hanno lasciato un segno […]