Definito dall’autore una «distrazione, anche umana, e insomma, se valesse la pena, me ne vergognerei. È quello che si chiama una franca ricerca di stile», La spiaggia si presenta diverso da tutti gli altri romanzi di Cesare Pavese, pur mantenendo alcune linee comuni; lo stile semplice, la franchezza nell’analisi, le donne e le montagne piemontesi sono solo un esempio.
In La spiaggia è proprio dalle Langhe che si parte ma, a differenza degli altri romanzi, quei luoghi, che ormai i lettori di Pavese hanno imparato a conoscere, sono solamente abbozzati. Come spinge a pensare il titolo, lo scrittore vuole concentrarsi in qualcosa di più, quel qualcosa che, come si saprà poi, lui non è mai riuscito a godere – per uno stacanovismo ormai noto e per un’incapacità di adattamento alla borghesia.
L’amico d’infanzia Doro e sua moglie Clelia rappresentano tutto ciò che Cesare Pavese detestava e a cui però si sarebbe volentieri abbandonato, se solo fosse stato in grado.
Doro, ormai avvezzo a una vita differente (comune) rimpiange i tempi della giovinezza che riaffiorano con un semplice caffè con la grappa; con la stessa immagine nel cuore, come una radice, il protagonista si ritrova a toccare con mano questa differenza, passando con la coppia una parte dell’estate a Genova, luogo così vicino al Piemonte, ma totalmente nuovo per lui e la sua prosa. Lì, attraverso un’osservazione condita da confidenza notturne o sotto l’ombrellone, l’autore distrugge ex-novo la figura della donna e, di conseguenza, il matrimonio: la frivolezza femminile basa tutto il rapporto su una grandissima circostanza ma, al contempo, vela (o svela) la personalità del bel sesso, rendendolo inevitabilmente un pozzo profondissimo dal quale è impossibile riemergere, se non attraverso una gravidanza inaspettata. E allora, per sopportarla, bisogna essere innamorati.
Ma innamorati come?
«Provavo il mio solito piacere scontroso a starmene in disparte, sapendo che a pochi passi fuori dell’ombra il prossimo si agitava, rideva e ballava».
Miriam Di Veroli
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