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Atti osceni in luogo privato

Il fascino d’estate – i nostri consigli: «Atti osceni in luogo privato» di Marco Missiroli

Dalla rubrica «Il fascino d'estate», Marco Missiroli con «Atti osceni in luogo privato». La storia di Libero Marsell, un dodicenne che intuisce come si può imparare ad amare

4 minuti di lettura

Ci sono libri che si scelgono per empatia. Qualcuno sostiene che sia la copertina, altri le prime tre righe. Ho scelto Atti osceni in luogo privato per il titolo che poi, inevitabilmente, mi ha deluso. Ho scelto questo libro prima ancora di averlo sfogliato, galeotta fu Radio 24 e la trasmissione Il cacciatore di libri.

A pensarci a posteriori credo sia stata la voce di Marco Missiroli, le domande compiaciute di Alessandra Tedesco e quella frase buffa a proposito della copertina: «a mia nonna ricorda un cuscino».

Eppure qualcosa non quadrava. Troppo bravo-ragazzo questo Missiroli, sempre la parola giusta al posto giusto, un aplomb da invidia, la sindrome da enfant prodige del nuovo millennio, capello scarmigliato e viso pulito. Ho comprato il libro conoscendo già la copertina, non ho letto la trama, mi sono fidata dell’intuito e forse, lo confesso, c’era in me un profondo desiderio di sfida: «Vediamo un po’ come scrive ’sto giovanotto che gioca a fare l’intellettuale».

Atti osceni in luogo privato
Marco Missiroli

Mi sono ricreduta. Ci sono cascata. Poi sono rinsavita.

Ho letto Atti osceni in luogo privato sdraiata su una brandina al mare. Facile, direte voi. Missiroli era lì, mi ha raccontato la sua storia, mi ha tenuto la mano per cinque ore anche quando le pagine mi han fatto sorridere, innervosire, storcere il naso. E poi piangere, piangere molto.

Sia chiaro: non sono una sentimentale, una che si commuove facile. Forse sì, ma non in questo caso, non questa volta. Missiroli scrive bene, sa fare il suo lavoro. Mi era antipatico, ero prevenuta, volevo stroncare questa nuova classe di scrittori saputelli dalla penna facile, che giocano a sedurre gli uditori femminili e che portano le Clarks rovinate come a dirci che «i soldi non fanno la felicità». Missiroli funziona, piace, seduce. Come stupirsene: al giorno d’oggi la moda sono i ragazzi dinoccolati con la barba, ex sfigati primi della classe che portano una camicia messa lì per caso, hanno la disinvoltura di chi acchiappa con la testa. Senza volerlo questo libro, questo maledetto libro, mi è entrato dentro come un amore estivo, una fiammata irrazionale, un colpo di sole che provoca febbre e stordimento.

Questa è la storia di Libero Marsell che, dodicenne, scopre il tradimento della madre con un amico di famiglia. Lo scopre nel modo peggiore, da dietro una porta mal chiusa. Proverà un sentimento di eccitazione e di paura, ma è da lì che inizierà la sua ricerca.

Atti osceni in luogo privato
Jean-Paul Sartre

Libero Marsell: padre francese, madre bolognese. È nato in Italia ma si trasferisce a Parigi ancora bambino a causa del lavoro del padre, un rappresentante di farmaci omeopatici: siamo nel regno dei Fiori di Bach. La madre è un’eccentrica signora, una donna d’altri tempi ch’eppure vive appieno la sua epoca contestataria e femminista. Lo scenario è una Ville Lumière anni Settanta e Missiroli, calcando un po’ la mano, i cliché ce li infila tutti: il V arrondissement, Saint-Germain-des-Près, il caffè dei Deux Magots, Jean Paul Sartre seduto in un angolo con la sua pipa, il Trocadéro.

Quando scostavo il libro, quando lo chiudevo appena, sapevo che Missiroli stava facendo il furbo, che giocava con l’immaginario comune, come a dire «fidatevi di me, ascoltate ancora un poco, non ve ne pentirete». E noi, allocchi, a cascarci, a dargli corda, ad infilarci dritti dritti nel suo sogno di cartapesta. È l’esotico trasformato città, cosa c’è di più facile che sfoderare il mito della capitale francese? L’altrove New York, la Milano dei Navigli, delle osterie, dei parchi rovinati dall’afa, le molte solitudini, la passeggiata di Dino Buzzati per via Solferino?

Eppure lo si legge con trasporto. Perché è la storia di un riconoscimento. Libero Marsell si cerca, vuole diventare se stesso cercando di assumer-si il proprio nome. Il consiglio glielo ha dato un vecchietto malmesso seduto all’angolo dei Deux Magots. Sartre, proprio lui. Si innamorerà di una «Farfalla nera», studierà, incontrerà il suo Virgilio personale – una bellissima bibliotecaria che sta nel Marais (che strano) – e che lo svezzerà a suon di dolcezze e di Camus, Buzzati, Faulkner, Hemingway, Whitman. L’oscenità tanto decantata, dunque il sesso – la scoperta del lato oscuro – rimane, come ama ripete Missiroli, «una gioia privata», dunque legittima, finché c’è, finché non fa male, finché non diviene atto di lieve perversione segnando, per Libero e per il suo amore di gioventù, la prima ferita.

Atti osceni in luogo privato

Il problema è tutto nel lettore. E la domanda più giusta è forse quella del perché si legge, che cosa spinge verso un volume, cosa si cerca attraverso la letteratura, nella letteratura. Il quesito passa così dalla parte dei Critici, coloro che forse sanno, e che si chiedono «La verità sul romanzo, per favore» evocando un panorama italiano contemporaneo di profonda aridità, dove tolti un paio di nomi dal cilindro (Silvio Perrella e Massimo Onofri) si annaspa nel deserto dello stile, della mancanza di una voce che sappia levarsi oltre il coro. Lo scrittore oggi, ci dice Giorgio Ficara nel suo Elzeviro di domenica 26 luglio sull’inserto de Il Sole 24 Ore, deve poter ritrovare una sua etica o meglio una propria «disciplina morale» che impedisca l’affondamento della nostra letteratura, che parli con un linguaggio riconoscibile – letterario – sciogliendo l’ingorgo di tante voci monocordi, che paiono un’unica voce, senza differenza, senza discontinuità.

Missiroli ci è riuscito? Non so rispondere, posso solo guardarmi dentro, provare vergogna per quel travaso di sentimenti ingiustificato. Eppure, vien da chiedersi, come possa un libro andare così a fondo, scavare nelle viscere, riportare in superficie ciò che era già seppellito, che stava nascosto in un luogo segreto – privato appunto – chiuso a chiave, dimenticato. Qualcosa di noi tutti è racchiuso in queste pagine, qualcosa che va oltre l’antipatia, oltre la mancanza di uno stile etico, oltre gli errori, le imprecisioni che si perdonano (a metà) anche al primo della classe.

Leggete Atti osceni in luogo privato. Leggetelo. E non perché gridiamo – come invece ha fatto Antonio D’Orrico – al capolavoro dell’anno, ma per comprendere la furbizia di chi, dall’alto della sua scrittura sopraffina, ci prende un po’ per il naso, ci coccola, di fa piangere, ci asciuga gli occhi e poi, come ogni amore estivo che si rispetti, ci abbandona, lasciandoci soli con un pugno di lacrime e molto amaro nella bocca.

Marco Missiroli, Atti osceni in luogo privato, Feltrinelli, Milano, 2015. (249 p.)

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di Ilaria Moretti

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Redazione

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