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Il dilemma morale tra Aristotele e McCarthy

4 minuti di lettura

Perdonate questa filosofia spicciola da bar. Ma ogni tanto succede che leggi un libro in questo caso Aristotele, che parla di qualcosa e poi vedi il film in questo caso di McCarthy e ti meravigli della coincidenza assurda del tema trattato. O forse è quel fenomeno che chiamano filtri percettivi. Cioè tu hai in testa una cosa e in quel momento interpreti il mondo sulla base di quello che hai in testa. Può darsi.

Però a me pare proprio che il tema centrale del film The counselor (ora al cinema) di Corman McCarthy sia il dilemma morale e che Aristotele possa venire in soccorso.

Leggendone una breve presentazione potrebbe sembrare il classico film d’azione condito di attoroni e affari di droga. Non lasciatevi ingannare (nel senso che è di gran lunga superiore rispetto a quel che vi aspettate). E’ superiore ma anche molto più impegnativo per non dire dolente, penoso, amaro, desolante. E filosofico.

Insomma, l’altro giorno ero lì a leggere l’Etica Nicomachea di Aristotele, e penso che Aristotele sia davvero rassicurante eticamente parlando. Per di più non solo è rassicurante ma non sembra nemmeno un bigotto fariseo. Sa essere credibile perché (al contrario del dogmatico che di solito viene presentato) si mette in discussione a ogni affermazione che fa. Sa benissimo che la questione morale è controversa, sa benissimo che parlare di realizzazione del bene e della virtù può fare acqua da tutte le parti perché gli uomini sono troppo spesso compromessi dalle loro varie passioni per potersi comportare sempre bene. Ma parla di vera amicizia tra uomini buoni, parla di possibilità di essere temperanti rispetto alle nostre passioni. E dice che gli uomini malvagi compiono azioni ingiuste perché lo scopo delle loro azioni non è il vero bene. Ciò che è bene per loro è male per gli altri. Insomma anche chi agisce male pensa di agire in funzione di un bene, che è il bene sbagliato. Solo a posteriori il malvagio arriva a disprezzare se stesso se assume consapevolezza di aver compiuto qualcosa di male.

Poi chiudo il libro e vado a sedermi al cinema.

Aristotele McCarthy
Di ValeG94Wiki – http://www.hd-trailers.net/, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4753217

Cormac McCarthy, sceneggiatore del film, sembra pensarla in modo del tutto diverso. Il male non solo esiste, ma è forse il modo più puro di rapportarsi tra esseri viventi. E il vigliacco è la figura che finisce per farti disprezzare di più. Perché chi fa il male per se stesso, il male fine a se stesso, come una tigre famelica nei confronti della sua preda, è puro. Il male limpido e autentico è più genuino rispetto al male che fa il vigliacco.

Il vigliacco sta in mezzo alle persone che fanno il male limpido e fa a sua volta del male, ma non compromette esteriormente, né agli occhi degli altri né agli occhi di se stesso, la sua integrità morale. Poi spera di farla franca. Fa del male ma spera di non riceverne. Vuole far parte del sistema ma allo stesso tempo se ne vuole tirare fuori. Fino a che tutto va bene lui ci sta, è dentro, non sembra farsi tanti scrupoli né domande.

E’ come quello che Aristotele chiama il peccatore ignorante a causa di se stesso: decide di ignorare se quello che sta facendo sia giusto o sbagliato, di non informarsi troppo sulla situazione che si creerà in conseguenza alle sue azioni. E’ ignorante, ma non pecca inconsapevolmente. Perché è lui stesso causa della sua ignoranza. E’ lui che non vuole rifletterci.

Poi le cose iniziano ad andare male e lui spera di uscirne illeso. Sembra essere inconsapevole che il male sia come un boomerang. Che il male torni indietro. Ha fatto il male finché ha voluto, ora fa il puritano. E piange. Sono lacrime di coccodrillo in parte sì in parte no. Io ci credo che il vigliacco sia pentito. Ma è troppo tardi. Tardi per rendersi conto che se ti infili nel male non puoi aspettarti che non ti sia fatto del male.

E il destino del vigliacco sembra essere soltanto il dolore. E nessun valore, cercato di recuperare in seguito, qualsiasi valore, anche il più grande, potrà risollevare la vita del vigliacco, che magari ha perso quello che aveva di più caro per la sua negligenza. Perché il dolore trascende il valore. E il dolore non ha valore, è dolore e basta.

Chi è peggiore dunque? Chi fa il male senza esitazione, deliberatamente e limpidamente cattivo, pienamente consapevole della pericolosità delle proprie azioni, e non solo, pienamente consapevole che il prezzo da pagare sia il ritorno del male che si è fatto? Chi a città del Messico spara alle persone per strada solo per dimostrare che la morte non ha valore?

Oppure chi fa il male sperando di rimanere impunito, negando a se stesso di peccare, mentendo sotto false sembianze di essere una persona per bene? Chi magari fa uccidere un amico per averlo immischiato in una situazione di cui non si era preoccupato abbastanza (consapevolmente negligente) di come sarebbe andata a finire?

Io non so chi sia più malvagio, ma so che entrambi li sono. Ma noi invece? Le persone che sembrano non fare niente di male, a che categoria appartengono? E se la vigliaccheria appartenesse all’uomo in quanto tale, e a seconda di persona e contesto si mostrasse più o meno? La domanda non è se è possibile essere cattivi. Questo mi sembra assodato. Ma piuttosto: è possibile essere buoni?

Cormac McCarthy ha una visione piuttosto esasperata della situazione, dato che sembra che per lui ogni persona e situazione sia permeata da un male intrinseco, ma dopo aver sentito il suo parere attraverso gli infelici dialoghi del film non posso certo tornare a casa e lasciarmi rassicurare troppo dal buon vecchio Aristotele.

E non so cosa pensare. Per questo scrivo un articolo. Per farvi salire con me sulla barca della questione morale, che forse eccede le nostre possibilità di venirne a capo.

Silvia Lazzaris

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