Uno spettacolo diverso, un palco semi deserto, dagli strumenti e molti colori dipinti a mano sullo sfondo. Così si presenta il Concerto disegnato, messo in scena da Colapesce (cantautore) e Alessandro Baronciani (artista).
Al Sambapolis, teatro del più grande studentato di Trento, ha aperto la serata un piacevole Candirù accompagnato da Francesco Camin. Due giovani cantautori che hanno fatto tanta strada e altrettanta ne faranno, con due chitarre che si intrecciano perfettamente e canzoni che potrebbero essere a livello di alcuni big della musica italiana.
Inizia il concerto e subito si capisce che ciò che verrà proposto sarà uno spettacolo diverso dai concerti solitamente visti. Colapesce suona e Baronciani disegna ciò che viene suonato. Le forme dipinte non sono definite, a mano libera, i contorni sono lasciati alla libera espressione. Inizia con le sue migliori canzoni, come Sottocoperta e Oasi, che vengono riportate fedelmente sullo schermo. Sul palco è da solo, uno spettacolo voce e chitarra, accompagnato esclusivamente da qualche effetto che ricrea l’ambiente e i suoni delle sue canzoni. Certamente il cantautore siciliano non manca di pathos, scherzando più volte con il pubblico proprio rispetto alla mancanza di questo «su al nord». Dopo aver timidamente fatto cantare gli spettatori in uno dei cori delle sue canzoni esordisce con «ragazzi, a Perugia l’avevano fatto meglio. Ho capito che sono al nord, ma per me è nord già la Calabria».
Le canzoni non possono definirsi di certo allegre e proprio per questo Colapesce è stato ottimo nel riuscire a tenere l’attenzione e la varietà dello spettacolo suonando quasi interamente i suoi due album. Pezzi come Satellite e Reale hanno fatto cantare il pubblico, altri come S’illumina e Maledetti italiani hanno assunto profondità diverse con il nuovo set di suoni e l’accompagnamento grafico. I disegni sono in continua trasformazione, mutando da paesaggi a figure umane, da navi a letti con coperte invernali, lasciando poco alla certezza e seguendo le dinamiche delle canzoni.
Una particolare menzione va a Egomostro (canzone che dà titolo anche all’ultimo album) e il suo relativo disegno: la canzone esprime il bisogno delle persone d’oggi di essere al centro e mettersi al centro, di voler essere protagonisti in modi frivoli e volubili.
Sono risaltate la simpatia del cantautore e del disegnatore, complici e compagni di palcoscenico pur essendo provenienti da due arti diverse. Impossibile non essere catturati anche dalle scenografie di Colapesce che, trovatosi a gestire un palco troppo grande per una sola persona, balla, si muove, fa cantare, scende tra il pubblico e alla fine brucia anche la scaletta! Momento in cui l’astratto mondo della musica incontra la concretezza e sulle parole «ma quanta luce i tuoi occhi… sento bruciare dei fogli».
Una serata diversa, musica da ascoltare e forme da ammirare, due arti che si intrecciano tra loro davanti a un unico pubblico. Colapesce ha dimostrato d’essere un grande musicista nonostante la modesta fama che ha in Italia, relegato a un genere e uno stile forse “di nicchia” ma che conferma d’aver ancora tanto da dare.