Roo Panes attende il momento del lancio del suo disco da un paio di anni e proprio questo potrebbe essere uno dei problemi di Little Giant. Essenzialmente, il disco è un re-packaging dei suoi 3 EP precedenti (7 delle 12 tracce sono prese da Once, Weight of Your World e Land of the Living) con cinque nuovi brani. Sta diventando un habitus delle case discografiche odierne quello di mettere insieme i pezzi degli EP dei cantautori emergenti così che le persone comprino quello che in realtà hanno già, con poco lavoro in più che fa da collante.
Questa scelta probabilmente non arriva da Roo, il quale sembra limitarsi a scrivere canzoni e far della sua musica la sua vita. Il mercato musicale e le abitudini degli ascoltatori hanno spinto a questa “linea editoriale” più artisti contemporanei, specialmente se giovani e non ancora formati sulla scena. Il panorama delle voci, specialmente nel genere indie-folk, è rigoglioso in questo momento e vendere un disco sembra essere una guerra. I produttori sanno da principio se un artista è promettente o meno, specialmente se la casa è grossa e i cantautori vengono valutati da persone con esperienza, ma sembra preferiscano sempre più dividere gli LP in molti EP per poi ricomporli come greatest hits con l’aggiunta di alcuni inediti.
Oltre questo fatto, l’immagine di Roo e i suoi suoni sono autentici e originali in Little Giant, pone la sua musica nel mercato non tanto in modo originale ma come un proseguimento di ciò che oggi è l’indie-folk. Porta la sua chitarra a 12 corde come un marchio di fabbrica e la sua voce baritona sembra assomigliare a quella di George Ezra. Non si può dire che non abbia tutte le carte in regola per diventare qualcuno di successo nel suo settore, poter incidere ancora album e vivere con la propria musica.
L’album, nonostante sia un collage dei suoi EP e – per molti – un po’ lento, ha dei suoni davvero profondi e ricercati, capaci di portare l’ascoltatore alla naturalità di quei boschi e i cieli limpidi decantati nelle sue canzoni.
Intermezzi di banjo e voci solitarie rendono ancora più rustico il paesaggio descritto ed è facile sentirsi sereni all’ascolto di canzoni come Indigo Home o Tiger Striped Sky. Le chitarre appena accennate che si intrecciano con l’orchestra minimale, composta da qualche arco solamente, giocano un ruolo fondamentale nella leggerezza del disco e nel lasciare che, in molti punti, siano in evidenza i riverberi usati che richiamano una naturalità notevole.
Nel complesso quindi Roo ha messo insieme i bagagli dei suoi due anni chiudendoli con quelle cinque tracce, che sembrano avere un miglioramento rispetto al lavoro precedente. Si è costruito il suo spazio sulla scena, ha stampato il suo marchio di fabbrica con successo e non si può che attendere un secondo album di inediti completo che lo possa confermare come cantautore.
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