Al di là della sua tragicomica conclusione, l’affaire Ignazio Marino è l’ennesima (e più lampante) dimostrazione che l’Italia è entrata in una fase politica davvero anomala e inquietante.
La democrazia – ma si può fare una considerazione simile per qualsivoglia comunità politica – funziona realmente, e produce i suoi frutti migliori, quando la volontà politica della maggioranza (al potere, o col mandato di dirigere la comunità politica) trova davanti a sé non soltanto i limiti costituiti dalla legge e dalla carta costituzionale, ma anche gli argini definiti da valori morali e procedure cui si dà priorità rispetto agli obiettivi da raggiungere. Sulla falsariga di Niccolò Machiavelli: in una democrazia sana e funzionante i fini non giustificano i mezzi.
Senza questa cultura politica, che potremmo definire costituzionale (il che significa che c’è un insieme di norme, di procedure, di valori a cui si dà priorità rispetto agli obiettivi e che influenza la scelta dei mezzi utili a raggiungere gli obiettivi), la democrazia scivola inesorabilmente nella dittatura della maggioranza: una dittatura dolce, non percepita come tale e che non prende la forma di regimi politici autoritari imposti con le armi, ma che tuttavia dittatura resta, nel senso di uno stato di cose in cui la volontà della maggioranza politica non è un fiume che scorre tranquillo entro argini costituzionali e morali, ma un torrente in piena che straripa in ogni dove portandosi dietro detriti e devastazione culturale.
Marino è sotto attacco, da parte del suo stesso partito, per una decisione del Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Marino non fa parte della struttura dei cortigiani renziani, non è un emissario delle volontà dei vertici: come ogni persona che meriti rispetto, è dotato di libertà intellettuale e indipendenza politica, due qualità in cui il popolo italico non eccelle ma che sono nondimeno fondamentali per avere classi dirigenti e non uomini soli al comando.
Come si suol dire, sticazzi la volontà democratica dei cittadini romani, che hanno dato mandato a Marino di amministrare Roma per 5 anni: Renzi ha deciso che deve andare a casa, e così sia, nonostante il PD abbia ben altri problemi che si chiamano, ad esempio, Mafia Capitale. Il partito ubbidisce, come una macchina che funziona in automatico. Non ci sono più valori, non ci sono più procedure e principi che costituiscono le “regole del gioco”: la volontà politica del despota si è espressa, la volontà di Renzi diventa essa stessa regola del gioco, e un Sindaco (che dovrebbe rispondere solo ai suoi elettori e alla maggioranza del consiglio comunale, la quale a sua volta dovrebbe rispondere soltanto agli elettori che l’hanno votata) viene mandato a casa dalla decisione del Presidente del Consiglio. Una roba inquietante per uno Stato che si dichiari democratico a livello costituzionale. Dalla riforma costituzionale combinata con la legge elettorale, che crea un sistema politico iper-maggioritario e accentrato nelle figure dei leader carismatici, alla lotta contro il potere burocratico e la terzietà delle procedure, allo scherno e al disprezzo nei confronto del dissenso e delle minoranze, questa cultura politica basata sulla priorità della volontà assoluta della maggioranza emerge come una delle fondamentali direttive politico-culturali del renzismo.
Siamo entrati in una fase drammatica e pericolosa. Il declino politico-culturale, che si sperava sarebbe finito con la fine del periodo berlusconiano, prosegue imperterrito, anche grazie al riciclo della classe dirigente berlusconiana, da Fabrizio Cicchito – che oggi scrive addirittura su l’Unità – a Denis Verdini, passati miracolosamente indenni alla rottamazione. Finito Silvio Berlusconi, i referenti sociali del centro-destra rischiavano di perdere il controllo sulle istituzioni: Renzi è stato una manna dal cielo, una manna particolarmente dorata, dato che oggi tanti iscritti e militanti del PD fanno una politica sporca, a sostegno di centri di poteri marci, ma con la coscienza pulita di chi crede di fare la cosa giusta.
La domanda è: abbiamo gli anticorpi culturali, nella società italiana, per superate indenni – e velocemente – la pericolosa parentesi renziana?