Un caso editoriale a dir poco controverso è quello di Histoire d’O di Pauline Réage. Questo è il nome dell’autrice che leggiamo quando cerchiamo questo romanzo. Finanche la nuova edizione Bompiani del 2021 mantiene questa dicitura che è però uno pseudonimo per l’autrice francese Dominique Desclos, conosciuta però come Dominique Aury. Nel 2022, dopo che per anni abbiamo sentito di rapporti master/slave fino all’ossessione a causa di 50 sfumature di grigio, non sembra una novità ricordare tale lavoro. Eppure lo è per la scrittura ipnotica che lo connota e per l’assoluta naturalezza ed eleganza con cui tratta di eros, a differenza del prodotto mainstream già citato.
Il caso editoriale: «Histoire d’O» e il mistero dell’autrice
Histoire d’O esce nel 1954. Tuttavia, non si sa chi ne è l’autore fino al 1994 quando Aury ammette in un’intervista al New Yorker di esserne l’artefice. Dominique Aury è un’autrice francese che fin dagli studi mostra la sua determinazione nel difendere il ruolo della donna, riesce a inserirsi in ambiti e situazioni considerati del tutto appannaggio degli uomini. Infatti, è la prima donna ammessa in khâgne, una classe preparatoria letteraria molto esclusiva, al Lycée Condorcet. Dopo gli studi inizia la sua attività di traduttrice, ad esempio di Francis Scott Fitzgerald, ma rimane sempre profondamente legata al mondo dell’eros francese, grande estimatrice del Marchese de Sade.
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Sembra che l’occasione per la stesura del romanzo sia stata una provocazione del suo innamorato, il quale le disse che «le donne non possono scrivere romanzi erotici». Aury lo smentisce con un lavoro focalizzato su O, protagonista di cui non sapremo mai il nome, la quale viene portata dal proprio partner in un castello dove sperimenterà, come schiava sessuale, ogni genere di performance sessuale immaginabile. Fin dall’incipit René, l’uomo che O ama, si caratterizza per un auctoritas totale sulla donna. Curioso anche l’uso di tempi diversi nella narrazione: all’inizio il presente e poi, nei momenti di maggiore carica erotica, il passato remoto.
I lampioni sono a una certa distanza, è ancora buio all’interno dell’automobile, e fuori piove. “Non muoverti,” dice René. “Non muoverti minimamente.” Allunga la mano verso il colletto della sua camicetta, disfa il nodo, poi la sbottona.
La «bellezza “cosale”» e le esperienze sadomasochistiche
Nella prefazione che fin dalla prima edizione italiana Bompiani correda Histoire d’O, un maestro dell’eros, Alberto Moravia pone un paragone immediato tra mondo della moda, con le fotografie delle donne, e quanto avviene nel romanzo. Secondo l’autore romano, i due elementi sono collegati da una bellezza “cosale” che pone al centro l’oggettivazione della donna.
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O è indubbiamente oggettivata nel romanzo, concepita unicamente come corpo portato a servire. La sua schiavitù è totale e completa. Moravia osserva l’aspetto assolutamente deplorevole della schiavitù. Nell’ambito della moda la donna è schiava e oggetto, diventa un rottame. Tuttavia, la questione di O è sicuramente diversa:
La schiava diventa un rottame cioè rivela improvvisamente la sua originaria trasmutazione in cosa. Ma
Alberto Moravia, Prefazione al romanzo
nell’Histoire d’O la schiavitù non porta a degradazione; riesce difficile immaginare O come un rottame. E questo perché la trasformazione della donna in cosa attraverso le pratiche della schiavitù erotica non è dovuta ad un’alienazione negativa (nel senso di soddisfare alle esigenze della libidine altrui) ma positiva (nel senso di adeguarsi ad un ideale di bellezza, nel caso la bellezza postulata dalla moda).
A differenza delle foto, nel mondo della moda non occorre un oggetto, ma una persona viva. Moravia si chiede come possa una donna restare viva ma diventare una “cosa“, come O. La risposta è seguendo un’ideale di eleganza e bellezza, per questo secondo Moravia il romanzo pone al centro l’alta moda concepita come ideale di vita. Ideale che si manifesta proprio in pratiche apparentemente “brutte”. Pratiche che vanno dal semplice farsi legare, al farsi marchiare sulle natiche il nome del partner, a subire rapporti con altri amanti bendata. Potrebbe sembrare paradossale parlare di bellezza descrivendo tali momenti, tuttavia è il senso che vi si dà nel romanzo a renderli belli esteticamente, da un punto di vista filosofico.
Una sottomissione volontaria e consensuale
Ora, però, in che modo una donna può ridursi a cosa pur restando “viva”? Ovviamente, presentandosi ai riflettori dei fotografi come O […]. Sottomettendosi ai sadici riti di René, di Sir Stephen e degli altri suoi amanti, O si è liberata da ogni scoria individuale, si è alienata masochisticamente a favore della bellezza propria della moda, si è immolata volontariamente e misticamente sull’altare dell’eleganza.
Per quanto secondo Moravia sia comunque un personaggio privo di evoluzione e il cui dramma non porta a nulla se non alla sua sottomissione totale, la costruzione di tale ideale non è la sola riflessione che può sovvenire dalla vicenda di O. L’autore spiega come l’alienazione di O sia prolifica in quanto la esclude da una società, quella borghese, che da sempre lo stesso Moravia ha criticato. Appena ella si inserisce nella società ha inizio il suo sfacelo, per quanto comunque cominci molto prima se si vede la sua vicenda come mera oggettivazione.
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Moravia accenna anche a una certa poesia e delicatezza, l’ideale di eleganza è rispecchiato da un linguaggio mai volgare, ipnotico e poetico che fa dell’atto erotico un’esperienza estetica e mistica. Ciò in quanto dietro alla sottomissione di O c’è di più della mera bellezza “cosale”. Al centro troviamo l’idea di sottomissione e servitù come manifestazione di amore puro non solo verso una persona, ma verso le sensazioni umane. O spesso si sente quasi onorata delle attenzioni del padrone e poi dei padroni. La narrazione gioca tantissimo su un’ambiguità di fondo tra il terrore apparente di O e il suo desiderio e devozione. Un mix di dolore-piacere che caratterizza le pratiche sadomasochistiche in quanto tali.
O si chiese perché tanta dolcezza si mescolasse in lei al terrore, o perché il terrore fosse per lei così
dolce. Si avvide che una delle cose che più la sconvolgevano era l’essere stata privata dell’uso delle mani; non che le sue mani potessero mai difenderla (e desiderava veramente difendersi?), ma, libere, avrebbero accennato al gesto, avrebbero tentato di respingere le mani che s’impadronivano di lei, la carne che la trafiggeva, d’interporsi fra le sue terga e la frusta.
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«Histoire d’O»: l’eros per arrivare a un dio
Sensazioni che conducono a Dio, una sorta di estasi che viene accennata dai numerosi riferimenti alle divinità, a elementi metafisici, tutti in momenti che apparentemente sembrerebbero di “abuso”. «Lo ricevette come si riceve un dio» scrive a un certo punto Dominique Aury in riferimento al seme maschile. Proprio da quell’elemento dipende la nascita, allora l’uomo è un dio perché crea dal nulla e la donna è sua schiava per sua volontà, diventa serva per servire uno scopo superiore. O allora è un oggetto, ma è un oggetto comune che serve a uno scopo divino:
Così egli l’avrebbe posseduta come un dio possiede le proprie creature, di cui si impadronisce sotto le sembianze di un mostro o di un uccello, dello spirito invisibile o dell’estasi. Non intendeva separarsi da lei. Tanto più teneva a lei quanto più la concedeva. Il fatto di offrirla era per lui una prova del suo appartenergli e doveva esserlo anche per lei; si può offrire solo ciò che ci appartiene. La offriva per riprenderla subito dopo, e la riprendeva arricchita, ai propri occhi, come un oggetto comune che fosse servito a uno scopo divino, e perciò ne venisse consacrato.
Un dio – non Dio in senso cristiano – che si raggiunge attraverso l’edonistica e sadica pretesa degli uomini che circondano O. Laddove con uomini intendiamo anche “umani”, poiché O nella seconda metà del romanzo intrattiene rapporti anche con donne, per compiacere gli uomini all’inizio, poi si coinvolge in prima persona e diventa anche lei dominante. In un amore senza limiti per le cose terrene che portano alle divine, tanto che il finale delude in quanto sembra perfettamente naturale che O perda la vita durante una delle sue esperienze sessuali. Quasi per raggiungere un dio e un altrove totalmente.
«Histoire d’O» e il culto perverso di una bacchide
Il topos dell’eccesso sessuale come ricerca di un legame con un dio è già ampiamente presente in vari elementi culturali, come la celebre Hallelujah di Leonard Cohen. Dal titolo che fa riferimento ai Libro dei Salmi, dove compare proprio questa espressione che significa “Lodate Dio”. Dall’elemento biblico Cohen ha ripreso l’aspetto più peccaminoso, ovvero il tradimento di Davide con Betsabea in un colpo di fulmine scattato quando la vede fare il bagno. Nella versione di Jeff Buckley anche più propriamente la canzone si carica di erotismo, come spiegò lo stesso cantautore:
Chiunque ascolti chiaramente Hallelujah scoprirà che è una canzone che parla di sesso, di amore, della vita sulla terra. L’alleluia non è un omaggio a una persona adorata, a un idolo o a Dio, ma è l’alleluia dell’orgasmo. È un’ode alla vita e all’amore.
«And from Your Lips She Drew the Hallelujah» si dice nel brano, ovvero «e dalle tue labbra disegnò l’Hallelujah». Non diverso da quel dio che le labbra della donna accolgono in pratiche che vanno oltre quello che nel gergo BDSM viene chiamato “vanilla” – il sesso tradizionale -, ma ingloba maggiore perversione, nel senso di volgere. Non inteso con la connotazione negativa, che ad esempio Dante nel Convivio espone quando parla del significato etimologico commentando la lirica Amor che ne la mente mi ragiona. Qui, a proposito della filosofia dice che «umilia ogni perverso», dove con ciò si intende traviato, malvagio. Ma “perverso” viene dal latino pervertere, ovvero “volgere”. O è volta e condotta verso qualcosa di assolutamente oscuro e sempre più fuori dagli schemi, ma che si tinge di divino.
Sicuramente è un estremo manifesto di un Hallelujah non disegnata ma marchiata a fuoco, sia fisicamente quando si fa incidere il nome dell’amante, sia psicologicamente quando annulla sempre di più se stessa in nome di un‘ambigua voluntas e voluptas di essere posseduta da un uomo per possedere un dio nella sua anima, come una bacchide. Come Donna Tartt fa affermare al suo inquieto Henry in Dio di illusioni:
Per ricevere il dio, in qualsiasi mistero, bisogna essere in uno stato di euphemia, purità di culto. Sta in ciò il nocciolo del mistero bacchico; anche Platone ne parla. Prima che il divino possa avere il sopravvento, l’io mortale – la polvere, la parte caduca di noi – dev’essere il più puro possibile.
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Una delle più belle recensioni che abbia letto! Interessanti i riferimenti a Dante e Jeff Buckley. Non avendo letto il libro potrei anche averla apprezzata di più, paragonandola ad un trailer cinematografico. Che la protagonista muoia, magari proprio al culmine di un “O”-rgasmo, pone proprio la ciliegina sulla torta (decisamente non al gusto “vaniglia”) anche in virtù della pratica di asfissia auto erotica.
Complimenti Silvia!