La storia d’amore che non avete mai visto
Immaginate di essere in un futuro non lontano, tra le luci dei grattaceli di una Los Angeles domotica al 100%. Inizia qui la storia di Theodore Twombly, tra le carte del divorzio che non riesce a firmare e le lettere d’amore che scrive, per altri, a lavoro.
Un uomo solo, introverso, immerso in una società che si vede sempre da lontano, con cui le interazioni sono pressoché inesistenti. D’altronde, in un mondo in cui ogni nostra necessità può essere soddisfatta da un computer, non è così difficile dispensarsi dal contatto umano.
E nel momento in cui viene lanciato sul mercato un nuovo sistema operativo in grado di comunicare, crescere e adattarsi all’user, anche nell’amore il computer può sostituirsi all’uomo? E fate attenzione: proprio amore s’intende, sincero e reciproco, non una chiacchierata o un atto sessuale.
Eccolo, uno dei grandi temi di Her, il film di Spike Jonze che si è assicurato nel 2013 l’oscar alla miglior sceneggiatura originale. Uno, ma non l’unico. Perché il bello di Her non è solo la storia d’amore toccante che lega insieme i pezzi del film, bensì la molteplicità di temi e domande che questa stessa storia spinge a porsi.
Her è uno dei tanti racconti in cui si specchia l’essere umano, la storia di quello che ci unisce e di quello che ci divide. La storia di quello che ci cambia e di come possiamo fare per cambiare noi stessi.
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La risposta alla vita
Alle domande che ci poniamo su noi stessi, su quello che siamo a fare su questo pianeta, alle nostre insicurezze riguardo alla vita e alla morte, a quella ricerca del senso, Her risponde che siamo qui per amare.
E da subito è chiara la differenza tra un uomo solo, che si tiene il più lontano possibile dalle interazioni con l’altro (nonostante sia alla disperata ricerca di esse) e l’uomo che ama, coraggioso, che ritrova la voglia di vivere avventure fantastiche e di vedere il bello delle cose più piccole. L’uomo che ride. (Differenza messa bene in luce anche dalle scelte cromatiche precise, con un uso del colore impeccabile per tutto il film).
Impara ad amarti, dicono, fa’ le cose per te stesso. È il mantra che siamo ben contenti di ripetere ogni giorno. Ma sotto sotto sappiamo che quando con noi c’è qualcuno con cui condividere la vita è tutto mille volte più facile, altrimenti non ci sarebbe bisogno delle relazioni. Quando abbiamo un complice, uno spettatore, ci riesce spontaneamente di fare pazzie, divertirci, esplorare.
Siamo qui per amare, insomma. Si, ma Her è una storia d’amore a tutto tondo, che non si ferma alla relazione di coppia (e soprattutto non a quella tradizionale) ma analizza il sentimento a 360 gradi, anche nelle sue possibili evoluzioni.
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Tutti gli amori possibili
L’amore verso Samantha – il sistema operativo – ma anche l’amore finito verso l’ex moglie, l’amore sincero per la migliore amica, l’amore per il proprio lavoro, l’amore degli altri. In Her come nella vita, tutti questi sentimenti si muovono uno verso l’altro, uno intorno all’altro, lasciando spazio ad infinite riflessioni su un argomento che si affronta dall’alba dei tempi eppure viene reso ancora una volta nuovo.
Samantha prova sentimenti in maniera completamente diversa dagli esseri umani, e forse è proprio questo che la rende così verosimile. E così interessante. Le difficoltà di Theodore e Samantha nascono qui, nella differenza tra la mente di uno e quella dell’altro che, inevitabilmente, limita la loro comprensione reciproca. E la capacità di accettare che il loro amore – sentimento generalmente riconosciuto come universale – sia diverso, in quanto prodotto mentale.
Eccolo, il macigno. L’incudine che cade addosso allo spettatore e lo trascina giù. La consapevolezza che individui diversi amano in modo diverso, volenti o nolenti. E con Her diamo il benvenuto sullo schermo al nostro limite più grande.
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L’amore oltre la coppia
Mettendo l’essere umano in una comunicazione così intima con qualcosa di diverso da noi, Her riesce a stimolare anche un altro tipo di riflessione: perché gli uomini sono fatti come sono fatti?
Lo sguardo di un’altra intelligenza, che si muove e cresce in maniera nuova, ci sbatte in faccia tutti i nostri limiti: a partire dalla forma del nostro corpo, dal nostro odore, dai nostri genitali che non sono più scontatamente giusti così ma a tratti inverosimili, quasi comici.
Fino ad arrivare al limite della nostra realtà di uomini, carne in movimento per un tempo lineare in cui l’unica certezza è la fine di quel nostro tempo. E allora eccoci, a cercare di dare un senso a tutto, per dimostrare di aver vissuto davvero.
Da questo però impariamo. E dall’evoluzione di Theodore capiamo che non è tanto la relazione romantica che può portarci a vivere, quanto l’amore in senso più ampio. Oltre l’innamoramento temporaneo, oltre i baci e gli appuntamenti, oltre le risate, verso il più puro, semplice, incontro umano.
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Umanità liquida
E difatti, questa continua ricerca della relazione si muove nella cornice di un’umanità lontana, sfocata. Specchio di una società in cui ci aggrappiamo talmente tanto all’amore romantico che troppo spesso dimentichiamo qualunque altra forma di amore possibile (e dire che ce ne sono, dall’amicizia, al rispetto verso se stessi).
Il mondo passa intorno a Theodore lasciandolo lì, in disparte. E in generale lui stesso non fa assolutamente nulla per connettersi a questa scenografia liquida con cui convive. La classica solitudine di noi esseri umani, insomma, che sogniamo di interagire in mille modi ma spesso, troppo spesso, manchiamo di coraggio. E allora ci rifugiamo tra news, musica, serie Tv e social networks, chiudendoci ogni giorno di più, disimparando il contatto con gli altri in una realtà in cui disconnettersi dalla società è sempre più facile.
Insomma: il punto non è la tecnologia che si amalgama giorno dopo giorno alle nostre vite, ma la nostra incapacità di utilizzarla come strumento di comunicazione, anziché di isolamento. La necessità oggi più che mai di un’educazione nuova all’emotività, all’empatia.
Tutto questo e tanto altro ci raccontano Joaquin Phoenix e Scarlett Johansson sotto la magistrale guida di Spike Jonze, in quella che è a tutti gli effetti una perla del cinema contemporaneo.
Da vedere per chi non l’ha visto, da rivedere, masticare, ripensare per tutti gli altri. Una distopia delicata, malinconica, avvolgente, che ci descrive e comprende e, senza bisogno di pretesti, ci porta a spasso per noi stessi.
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