«Posso toccarli?», «Ti sei mai fatta la piastra?», «In famiglia hai qualcuno con i tuoi capelli?» sono le domande più frequenti che chi ha i capelli ricci ascolta molto spesso. Possono sembrare interrogativi innocenti, ma in realtà dietro nascondono un mondo discriminatorio in cui il riccio porta con sé molte stigmatizzazioni e rappresentazioni stereotipiate. Ed esiste un termine per descrivere questo processo: Hairism.
La percezione dei capelli ricci
Midge Wilson [1], professoressa di psicologia e studi femminili di genere alla DePaul University, ha affermato che negli anni ’60 i capelli ricci erano convenzionalmente accettati tra i bianchi e allo stesso modo lo erano i capelli afro per gli afroamericani e gli ebrei. La professoressa ritiene che fossero sinonimo di uno spirito libero e selvaggio, ma una volta finita l’era dell’amore libero questa percezione è diventata un pregiudizio. Aggiunge che, nella pop culture, le donne più squilibrate vengono rappresentate con ricci voluminosi e spettinati, invece quelle serie e semplici con capelli ben curati.
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In un articolo per la rivista Cosmopolitan, Anna Breslaw [2] afferma che «In Hollywood, curly hair just isn’t taken that seriously at work» [Ad Hollywood, le persone con i capelli ricci non sono prese così seriamente a lavoro]. Come sostiene Saran Donahoo [3], le donne nere subiscono un pregiudizio maggiore, perché i capelli afro sono ancora motivo di discriminazione e oppressione razzista che le obbliga a lisciare i capelli per seguire la «white beauty norm». Negli Stati Uniti, nel 2019, è stato approvato il Crown Act [4], una legge che, come affermano Donahoo e Asia Danielle Smith [5], cerca di supportare le donne e gli uomini neri nell’esprimere i propri capelli naturali senza paura di essere discriminati, licenziati, obbligati a una maggiore “disciplina” nelle scuole, nei posti di lavoro o negli spazi pubblici.
Hairism, ovvero il pregiudizio per i capelli ricci
Hairism [6] è il termine con cui si identifica la discriminazione o il pregiudizio basato sui capelli, alimentati dalla «white beauty norm», cioè la preferenza per capelli lunghi e lisci a cui le donne nere, e non solo, sono assoggettate. Questo tipo di discriminazione classifica i black hair come sbagliati, perché sono antiestetici in confronto ai white hair, ideale di bellezza. Inoltre, anche tra le donne che hanno deciso di indossare acconciature per nascondere la propria capigliatura naturale, vi è la convinzione sociale che siano così più educate e sofisticate, perciò più competenti nel ricoprire posizioni dirigenziali.
I capelli afro: una questione politica e non solo
Il Crown Act, approvato da otto Stati – California, Colorado, Connecticut, Maryland, New Jersey, New York, Virginia e Washington –, identifica la lotta contro l’Hairism come una questione riguardante i diritti razziali e civili. Le politiche e le pratiche che etichettano le acconciature naturali nere come non professionali e sgradite violano The Civil Rights Acts del 1964.
Anche se gli argomenti che supportano le politiche sui capelli riguardano allo stesso modo persone di tutte le etnie, le donne nere sono quelle che subiscono gli effetti peggiori di queste discriminazioni. Sul posto di lavoro hanno 3,4 volte in più la probabilità che gli altri percepiscano i loro capelli naturali come non professionali, 1,5 volte in più la possibilità di essere licenziate sempre per i propri capelli, l’80% in più di probabilità di decidere di camuffare i propri capelli naturali e il doppio delle probabilità, rispetto alle donne bianche, di lisciare i ricci per adattarsi al lavoro.
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La discriminazione nei confronti dei capelli però non è solamente una questione politica, ma anche di identità di genere e di femminilità. Come spiega Saran Donahoo, l’idea di femminilità è associata ai capelli lisci, lunghi e setosi, per cui è difficile per una donna, che non rappresenti questo ideale di bellezza, essere associata al concetto di femminilità, già di per sé eurocentrico. Inoltre, coinvolge la sfera dell’identità di genere, in quanto la donna che ha deciso di mantenere un capello corto, non rispecchiando lo stereotipo di donna eterosessuale e femminile, viene spesso associata a un’estetica “mascolina” e inoltre etichettata come lesbica, per colpa dei pregiudizi sulla comunità LGBT.
Hairism: un problema per tutta la società
Questi aspetti però toccano l’intera società, non solo la comunità nera. I principi del movimento femminista nero, il Combahee River Collective [7], affermano che i capelli neri naturali sono soprattutto una questione politica perché condizionano il modo in cui una donna accede e lavora all’interno di spazi pubblici. Per una maggior inclusione si dovrebbe poter allargare il concetto all’intero tessuto sociale perché non solo nella black community riscontriamo pregiudizi che racchiudono stereotipi caratteriali associati alla tipologia di capello.
Camilla Fondi
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Note:
[1] Anna Breslaw, Is There a Stigma Against Curly Hair?, Cosmopolitan, 2014
[2] Ibidem
[3] Donahoo, Saran. 2021. Why We Need a National CROWN Act Laws 10, no. 2: 26. https://doi.org/10.3390/laws10020026
[4] The CROWN Act. n.d. Home. Available online: https://www.thecrownact.com/
[5] Donahoo, Saran, and Asia Danielle Smith, Controlling the crown: Legal efforts to professionalize Black hair, Race & Justice, 2019, p. 1–22.
[6] Urban dictionary
[7] The Combahee River Collective. 1977. The Combahee River Collective Statement, BlackPast (Seattle, WA, USA). Available online: https://www.blackpast.org/african-american-history/combahee-river-collective-statement-1977